Stato-Mafia, la deposizione di Napolitano sarà senza i boss
I boss Totò Riina e Leoluca Bagarella e l'ex ministro Nicola Mancino non potranno assistere alla deposizione del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nell'ambito del processo sulla trattativa Stato-mafia. Lo ha deciso la Corte d'Assise di Palermo durante l'udienza di oggi del processo, rigettando le richieste degli imputati, che avevano espresso la volontà di partecipare, gli uni in videoconferenza e l'altro personalmente, all'esame. L'ennesimo scontro tra giudici - i pm volevano la presenza dei teste, la Corte d'Assise l'ha rifiutata - si è tradotto nel consueto pasticcio all'italiana. E per paradosso, in qualunque modo la si pensi sulla presunta trattativa Stato-mafia, il processo con questa decisione rischia di essere svuotato da ogni significato: sfugge il motivo per il quale due imputati (Riina e Bagarella) non abbiano il diritto riconosciuto a tutti gli imputati di presenziare a quella che si configura come una testimonianza chiave, quella di Napolitano. E facendo un ulteriore passo in avanti, sfugge il motivo per il quale Napolitano sia stato chiamato a testimoniare se il suo caso diventa un unicum, quello in cui, appunto, gli imputati subiscono una contrazione dei loro diritti. Un totale cortocircuito giudiziario, insomma. La posizione dei pm - Ma tant'è. Come detto la Corte d'Assisi del processo trattativa ha confermato l'ordinanza già emessa il 25 ottobre. Nonostante l'opposizione della procura di Palermo, che come detto aveva chiesto la presenza degli imputati per evitare un caso di nullità del processo. I pubblici ministeri Di Matteo, Del Bene, Tartaglia e Teresi avevano anche citato la Corte europea per i diritti dell'uomo, che ribadisce il diritto assoluto dell'imputato a partecipare alle udienze del processo che lo riguardano. Ma per il collegio presieduto da Alfredo Montalto non c'è alcun rischio nullità. Perchè vanno tutelate le prerogative del Capo dello Stato. "La stessa Corte dei diritti dell'uomo prevede che la pubblicità del giudizio possa cedere a ragioni obiettive e razionali - recita l'ordinanza dei giudici di Palermo - ragioni collegate a tutela di beni di rilevanza costituzionale". E a questo proposito il presidente Montalto cita le "speciali prerogative del presidente della Repubblica" e "l'immunità della sede, anche per ragioni di ordine pubblico e di sicurezza nazionale". "Ordinanza nulla" - Uno dei legali di Mancino, Nicoletta Piergentili Piromallo, chiede subito la parola: "Per noi l'ordinanza è nulla, in base all'articolo 178 del codice di procedura penale - dice - perché viola il diritto dell'imputato Mancino di intervenire personalmente all'udienza". Una nullità che potrebbe avere effetti devastanti su tutto il processo, come ipotizzavano i pubblici ministeri. Ma al momento, la corte conferma la propria ordinanza. "Ne prendiamo atto", si limita a dire il presidente della corte. Il presidente Montalto - Nella sua ordinanza, Alfredo Montalto, ripercorre le ragioni della sua scelta. Intanto, ricorda quanto già detto nel precedente provvedimento: "L'articolo 205 del codice di procedura penale, che prevede la testimonianza del Capo dello Stato, non prevede in quali forme debba avvenire. Per questa ragione - spiega - la corte ha deciso di applicare in via analogica l'articolo 502, quello che prevede l'audizione a domicilio, ma nei limiti in cui tale norma sia compatibile". Proprio sulla base dell'ultimo comma del 502, gli imputati chiedevano di essere presenti. Non è d'accordo la corte di Palermo, che ricorda le speciali guarentigie "di carattere costituzionale" previste per il Quirinale. Montalto sottolinea che al Colle non possono entrare neanche le forze dell'ordine: "Dunque, non sarebbe possibile accompagnare gli imputati, o garantire l'ordine durante l'udienza". Poi, il giudice ricorda pure che "la videoconferenza è prevista solo per l'aula del processo". Infine, il passaggio sulla corte europea per i diritti dell'uomo.