Di Pietro smaschera il Pd: "Così Violante trattò con Ingroia"
La desistenza al Senato, il leader Idv svela al Fatto quotidiano gli approcci di Bersani e compagni con l'ex pm
di Roberta Catania Quattro mesi fa l'unica trattativa di cui parlavano Antonio Ingroia e Luciano Violante era la presunta connivenza tra Stato e mafia. All'epoca, però, appena il 13 settembre scorso, Ingroia era un magistrato della procura di Palermo che indagava sulle stragi degli anni '92-'93 e Violante era l'ex presidente della commissione parlamentare antimafia chiamato a dare spiegazioni su una relazione della Dia che nel 1993 gli inviò l'allora ministro dell'Interno Nicola Mancino, proprio l'atto nel quale pare fosse riportato il presunto accordo: meno carcere duro per i mafiosi da una parte, fine degli attentati dall'altra. Temi caldi. Tre mesi dopo, sotto Natale, Ingroia e Violante riprendono a parlare di trattativa. Ma i ruoli sono cambiati. Il primo ha lasciato la toga per diventare leader di Rivoluzione Civile, partito che ha inglobato movimenti minori e il poco che resta dell'Italia dei Valori, mentre l'ex presidente della Camera veste il ruolo di burattinaio del Pd al fine di concludere «una squallida manovra per assicurarsi la vittoria», come l'ha spiegata Tonino Di Pietro al Fatto Quotidiano di ieri. Il retroscena del giornale di Padellaro e Travaglio è accurato, riesce a carpire all'ex pm di Mani pulite una ricostruzione minuziosa. «La proposta» del Pd per tramite di Violante, scrive il Fatto, «era di non correre per il Senato nelle tre regioni in bilico», Lombardia, ma soprattutto Campania e Sicilia, queste ultime terre incontrastate del partito degli ex magistrati, «in cambio», si legge, quelli del Pd offrivano «la candidatura, nelle loro liste, di qualche nome gradito a Ingroia». La trattativa di vent'anni dopo, insomma, puntava a nascondere altri fantasmi: senatori in quota al Partito democratico, che però avrebbero sostenuto il programma e le proposte di Rivoluzione Civile. Un imbroglio in piena regola, soprattutto per gli elettori del Pd, che votando Bersani si trovavano a eleggere gente di Ingroia. Secondo la ricostruzione di Di Pietro, che Tonino ha confidato al Fatto Quotidiano, Violante aveva anche chiesto di mantenere il più stretto riserbo, sperando che anche questa trattativa entrasse tra i misteri d'Italia. Il riserbo non c'è stato, ma del resto anche l'accordo non è mai stato preso in considerazione. Perciò Di Pietro non era tenuto al silenzio. Scoppiata la bomba, Violante stesso ha ammesso il tentativo di far desistere la candidatura a Palazzo Madama del partito di Ingroia almeno in Lombardia, «dove», ha spiegato, «ho segnalato che Rivoluzione Civile non raggiungerà il quorum al Senato e in più siamo alleati. Quindi ho suggerito l'opportunità di non candidarsi proprio». Ma l'ex presidente della Camera nega l'offerta di inserire in lista quei “senatori fantasma” pronti a votare il programma degli ex pm. «Non c'è stato il tempo di fare alcuna proposta», ha replicato Violante a Di Pietro attraverso il giornale, «non ho promesso nulla perché hanno rifiutato subito». Rivoluzione Civile, dunque, correrà da sola per il Senato anche in Campania, in Sicilia e in Lombardia. E questa prova di integrità, al momento del voto, potrebbe giovare, deve aver pensato Di Pietro. Tanto che non si lascia sfuggire l'affondo finale: «La cosa grave è che i vertici del Pd sapevano di questi inciuci sottobanco, Violante non avrebbe potuto prendere da solo un'iniziativa del genere», garantisce. Violante avrebbe fatto da scudo a Bersani, dunque, che effettivamente non ha avuto contatti diretti con Ingroia, come ieri il Pier ha tenuto a precisare. Ma il leader di Rivoluzione Civile non ci sta e replica pronto: «Bersani fa l'indiano, ma è inutile che finga di non sapere: l'ho chiamato al suo cellulare e non mi ha risposto. Sabato 22 dicembre poi, alle 8.59, gli ho inviato un sms con il mio numero, dandogli piena disponibilità di dialogo. Non ho mai ricevuto riscontro, si vede che il segretario del Pd era sempre occupato al telefono a parlare con Monti e Casini». Siccome Ingroia è pur sempre un magistrato, alle parole allega le prove e su twitter pubblica la foto dello schermo del proprio cellulare in cui compare il testo dell'sms inviato al segretario del Pd. [email protected]