Il compagno Giorgio fa una bella rimpatriata con i comunisti vietcong
Soccorso rosso a Roma. Il Capo di Stato (e Monti) ricevono il leader comunista del Vietnam. Ma il Quirinale cerca di nascondere l'incontro
di Franco Bechis Quando finalmente martedì scorso è salito sull'aereo che lo avrebbe portato a Londra, il povero Giorgio Napolitano ha tirato un sospiro di sollievo. Finalmente era terminata la visita italiana di Nguyen Phu Trong, segretario generale del comitato centrale del Partito comunista del Vietnam. Vero che l'invito era partito dallo stesso Quirinale, ma Napolitano non immaginava si sarebbe concretizzato proprio ora, diventando una delle ultime visite di Stato del suo settennato. Il presidente italiano voleva chiudere in bellezza, infilando in un crescendo rossiniano un incontro con Barack Obama a Washington, poi con Angela Merkel a Berlino, e infine con un bel discorso davanti al Parlamento europeo pochi giorni dopo avere ospitato la Regina Elisabetta di Inghilterra al Quirinale. Invece la visita diplomatica del capo del partito comunista vietnamita (carica che in quel paese- Napolitano lo sa bene- vale più di qualsiasi presidente della Repubblica o premier), ha rischiato di mettere un timbro sinistro proprio in piena campagna elettorale italiana sul settennato di Napolitano. Tanto che la visita ha fatto venire più di uno stranguglione ai collaboratori più stretti del presidente della Repubblica. Nguyen Phu Trong, da buon comunista, aveva inteso il viaggio italiano come una visita ufficiale più che a un Paese occidentale, a vecchi compagni di fede. E così ha trasmesso il programma ufficiale alla Farnesina, che l'ha messo in bella copia facendone arrivare bozza al Quirinale. Quando l'ha letto il consigliere diplomatico di Napolitano, Stefano Stefanini, a momenti è svenuto. Poi si è riavuto e ha imbracciato la classica matita rossa e blu per correggere, smussare, confondere. Ma come? Nella visita ufficiale l'incontro con Napolitano è in agenda ufficiale come quelli con il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero e con il segretario del Pdci, Oliviero Diliberto? Nascondere, nascondere immediatamente! E semmai dissimulare, se l'incontro proprio doveva esserci, via dal programma “visita di Stato”, meglio infilarlo fra le pieghe di un incontro culturale all'Auditorium di Roma. Mamma mia, questi vietnamiti hanno ufficializzato anche l'incontro con il segretario della Cgil, la compagna Susanna Camusso. Siamo impazziti? Scrivere nel programma ufficiale “trasferimento alla Cgil?”. No, nella sede di corso Italia c'è una mostra sul Vietnam. Più prudente dissimulare, trasformarla in un trasferimento a una “mostra”. Così l'abbraccio con la Camusso (fotografato solo dai reporter vietnamiti) si è trasformata in una più neutra “visita alla mostra fotografica Solidarietà italo-vietnamita fra il 1960 e il 1970”, senza manco indicazione del luogo cui è accorso anche Diliberto: la sede nazionale della Cgil. Nascondere, nascondere è stato l'ordine partito dal Quirinale. “Vogliamo dei titoli”, è sbottato il povero Stefanini, tipo “Il Compagno Napolitano cede ai vecchi amici vietcong”?. Al diavolo i vietnamiti, che rischiano di rovinare un settennato con una visita così partisan in piena campagna elettorale! Eppure qualcun altro deve avere capito assai meglio del Quirinale il carattere di rimpatriata fra vecchi comunisti di cui si sarebbe rivestita la visita ufficiale di Nguyen Phu Trong. Di sicuro il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che ha espressamente rifiutato l'incontro ufficiale previsto dal protocollo. Con un certo acume devono averlo capito il presidente della Camera, Gianfranco Fini e quello del Senato, Renato Schifani, che hanno trovato le scuse e i precedenti impegni giusti per sottrarsi agli incontri ufficiali. Non ha osato sottrarsi il premier Mario Monti, invitato dallo stesso Napolitano con la moglie al brindisi ufficiale al Quirinale e poi protagonista del calendario ufficiale per un incontro a Villa Doria Pamphili, con tanto di pranzo ufficiale offerto da palazzo Chigi nella sala d'Ercole. Monti però è riuscito a darsi poi al momento della firma dei memorandum di intesa Italia-Vietnam (assai poverelli) per cui ha lasciato il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant'Agata e il sottosegretario alla Difesa, Filippo Milone. Per irrobustire un po' quel momento- che avrebbe dovuto essere l'unico motivo di Stato della visita ufficiale, è venuto anche l'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni per firmare un memorandum di intesa con l'ente petrolifero vietnamita. A dare peso a quegli accordi di prammatica ha pensato poi lo stesso Napolitano, amplificandoli oltre il dovuto: “il Vietnam è un punto di riferimento per il superamento della crisi in Europa”, ha esagerato il presidente della Repubblica italiana. Abbracci a parte con gli ex compagni (Camusso, Diliberto e Ferrero, ma è sembrato goduto anche dei colloqui con Napolitano), Nguyen Phu Trong si è goduto con i suoi collaboratori anche l'ospitalità di lusso del Westin Excelsior di Roma. I vietnamiti volevano proprio quell'albergo, e quando hanno inviato le loro richieste alla Farnesina, si sono rischiati altri svenimenti. La richiesta era di cento stanze per la delegazione e per il leader comunista vietnamita una supersuite da 5 mila euro a notte. Con delicatezza i diplomatici italiani hanno fatto sapere di avere un budget rigido non modificabile per le varie visite di Stato: era possibile ospitare in dieci junior suite, ma nessuna a quei prezzi. Gli extra avrebbero dovuto essere a carico del partito comunista vietnamita. I comunisti che secondo Napolitano sono in grado di salvare l'Europa dalla crisi, non hanno battuto ciglio. Aprendo il borsellino per consentire una sistemazione dignitosa al loro segretario generale.