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Lavoro, etica, esteri, tasse: Mario e Pier sono divisi su tutto

Bersani e Monti

I temi chiave allontanano il leader del Pd e quello dei "centrini". Come spiegano l'inciucio alla Bce che chiede stabilità politica?

Andrea Tempestini
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  di Marco Gorra Iniziano a preoccuparsi pure a Francoforte. Nel bollettino della Banca centrale europea pubblicato ieri, l'allarme per il prossimo futuro dell'italia suona forte e chiaro. «L'accresciuta incertezza politica in Italia», è scritto nel documento dell'Eurotower, è stata «all'origine di alcuni flussi di capitali, con l'obiettivo di ricercare investimenti più sicuri, verso i titoli emessi dai Paesi con rating AAA». Che in campagna elettorale il clima politico di un Paese sia vagamente più instabile della norma è, tutto sommato, fisiologico. A far drizzare le antenne agli investitori, però, più che l'immediato è il medio periodo. Tradotto: la prospettiva, sempre più concreta, che dalla tornata elettorale del 24 e 25 febbraio scaturisca una maggioranza Frankenstein con dentro Fli, Pd, Udc, Vendola, montiani e area Ingroia (qualora passasse la linea, fortemente sponsorizzata da Bersani e soci, della desistenza dell'ex pm nelle regioni a rischio) inquieta, e non poco, i mercati. Comprensibile: agli investitori la stabilità politica di un Paese sta a cuore quasi quanto il portafogli, e non ci vuole un raffinato analista politico per rendersi conto di quanto travagliata si annunci l'esistenza di un governo sostenuto da un coacervo parlamentare rispetto al quale persino l'Unione prodiana pare un monumento alla compattezza. Se poi si cerca di immaginare quale potrebbe essere il percorso politico e legislativo di questo futuribile governo Bersani-Monti, sposare in pieno i dubbi della comunità finanziaria internazionale viene spontaneo. Non c'è infatti tema, da quelli più centrali a quelli più marginali, dove in seno alla ventura Grosse Koalition alle vongole non coesistano sensibilità radicalmente (e, si può prevedere, inconciliabilmente differenti). A partire dalla madre di tutte le questioni: quella del fisco. A sinistra, la parola d'ordine è patrimoniale. C'è chi (Vendola e i settori più collaterali alla Cgil del Pd) non fa mistero di volere andare col machete contro non meglio chiariti «ricchi» (che, per il leader di Sel, devono direttamente «andare all'inferno»). I settori più moderati del Pd si limiterebbero a colpire i proprietari di case oltre un certo valore e il massimo che si concede è un alleggerimento dell'Imu fino a 500 euro. Monti e i suoi, d'altro canto, di patrimoniale nemmeno vogliono sentire parlare, ed anzi puntano tutto su una rimodulazione al ribasso di Imu ed Irpef grazie ai risparmi della spending review. Altro tema su cui è facile prevedere scorrimento di sangue è il lavoro. Vendoliani, Cgil e rilevanti fette del Pd vedono la riforma Fornero come il fumo negli occhi, e fanno grande affidamento sul venturo referendum sull'articolo 18. Al centro, diversamente, la linea è quella data dallo stesso Monti qualche tempo fa: «Il posto fisso è una monotonia», disse il Prof, «e bisogna abituarsi all'idea che non esiste più». Quanto alle missioni militari, le suggestioni unioniste si fanno ancora più forti. Già i mesi scorsi sono stati segnati da un estenuante braccio di ferro tra governo e centrosinistra in ordine all'acquisto dei famosi aerei F35, e se Unione Africana ed Unione Europea non riusciranno a fare in modo di archiviare la pratica Mali entro il mese prossimo (ed elementi che facciano propendere in questo senso se ne vedono pochi), al primo voto in Parlamento sulla materia se ne vedranno delle belle. Capitolo energia. Al centro si mena grande vanto della strategia energetica nazionale varata dal governo. Ovvero del piano che ha fatto storcere il naso agli ambientalisti perché - parola di Vendola - «è nato vecchio e sembra orfano del nucleare» e perché «cerca in ogni modo di dare un futuro ai combustibili fossili che un futuro non lo potranno avere». Grattacapi in vista anche per quanto riguarda l'integrazione con l'Europa. I riflessi internazionali delle politiche domestiche sono la cosa che al Professore forse sta maggiormente a cuore (nella celebre agenda scrive che «dobbiamo sempre più abituarci che le nostre scelte di politica economica siano guardate e valutate con attenzione dagli altri Stati europei»), mentre a sinistra le compressioni della spesa pubblica che gli impegni comunitari (six pack e fiscal compact) inevitabilmente comporteranno sono visti come un incubo. Psicodrammi garantiti anche quanto a famiglia e temi etici. Al centro si blinda l'istituto matrimoniale come unicamente possibile tra uomo e donna e ci si prepara alla guerra contro le adozioni ai gay. A sinistra, l'offerta di una blanda legislazione circa le unioni civili viene vista come compromesso inaccettabilmente ribassista e si meditano adeguate contromisure. Contigua alla materia è poi la pratica dell'antiproibizionismo. Trincea irrinunciabile per il centro cattolico, la difesa a tutti costi della lotta dura alla legalizzazione della droga (specie se leggera), è qualcosa che a sinistra non è mai stata popolare. Ultimamente, con le aperture arrivate da alcuni Stati (ultimi Colorado e Washington) dell'America obamiana, la voglia di cercare di fare qualcosa anche da noi sta prendendo piede anche in settori insospettabili del centrosinistra. A scanso di equivoci, Vendola dedica un punto del proprio programma alla materia dove si propone di abrogare la ormai celebre legge Fini-Giovanardi. Da ultimo, la politica industriale. Che spesso e volentieri significa Fiat.  Qui la divergenza è più plastica che altrove: se il Professore ha di fatto avviato la propria campagna elettorale presentandosi nello stabilimento di Melfi con Sergio Marchionne e spingendosi sino a delineare paralleli politico-imprenditoriali tra le vicende del Lingotto e quelle del proprio governo, non è un mistero che il manager in pullover dalle parti del centrosinistra (in testa la Cgil) sia visto come un nemico del popolo e modello negativo di relazioni sindacali.  

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