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Nichi dice sciocchezze: i ricchi sono una risorsa

Giampiero Mughini

Per Vendola dovrebbero andare all'inferno: ma è grazie al loro contributo se i meno abbienti vivono dignitosamente

Andrea Tempestini
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  di Giampiero Mughini Al di là del fatto che del pensiero politico di Nichi Vendola non condivido neppure i punti e virgola, ho simpatia umana per lui. E per quel che è della sua vita privata e dei suoi affetti gli auguro ogni bene in fatto di stabilità e certezza legislativa. Confesso però che queste  sue comizianti maledizioni lanciate contro «i ricchi» mi lasciano stupefatto da quanto le trovo paleolitiche.  Ahimé non sono un ricco. Il mio patrimonio in tutto e per tutto sta nella casa in cui vivo, nella seconda casa che funge da studio-biblioteca ossia a produrre il mio reddito, negli scaffali su cui sono le prime edizioni di Eugenio Montale e altri 20mila libri circa. Tutto qui. Solo che mi viene un dubbio, se è vero quanto leggo sui giornali e cioè che persino un Pierluigi Bersani vorrebbe dare una bella stangata fiscale ai «grandi patrimoni», quelli a partire da «l,5-2 milioni di euro». Non ci posso credere, ci sono o ci fanno?. Un milione e mezzo di euro è il prezzo di un bell'appartamento in un quartiere decente di una grande città, un appartamento dove una famiglia borghese media di quattro persone può vivere confortevolmente, diciamo un appartamento da 150 metri quadri. Niente che connoti una vita da nababbi, un «grande patrimonio». Ma di che state parlando voi della sinistra che vi apprestate a vincere le lezioni perché avete la fortuna di correre contro il nulla? Torniamo alla faccenda dei ricchi, dei supericchi e di quanto Vendola pensa che siano dei zozzoni. Credevo che una tale topografia della realtà appartenesse al tempo delle mie scuole elementari. Che cosa vuol dire maledire i ricchi, vuoi maledire l'attore cinematografico Tom Cruise, il calciatore Francesco Totti, il pittore Damien Hirst, il grande imprenditore informatico Bill Gates, quei ricchissimi industriali americani che alla fine della loro vita regalano allo Stato superbe collezioni d'arte accumulate nei decenni, oppure un piccolo imprenditore emiliano che magari viaggia su una Ferrari dopo aver creato un'impresa dal nulla e che dà lavoro a 200 persone che prima quel lavoro non lo avevano? Vuoi maledire la creatività, l'imprenditorialità, il talento, l'eccellere nel proprio campo? Io ho scritto e riscritto più volte che Eugenio Scalfari era il giornalista più ricco d'Europa, e temo che lui se ne risentisse e l'ultima volta che l'ho incontrato e gli ho teso la mano lui mi ha teso un dito, ma era un complimento che volevo fargli: lui è stato il più grande giornalista italiano del Novecento nel senso integrale del termine, che non è quello del giornalista solista alla maniera di Indro Montanelli. Che Scalfari fosse anche talmente ricco ci sta eccome. I ricchi, beati il Paese che ce li ha, che li produce, che permette loro di diventare ricchi. A cominciare dal fatto che sono i ricchi - com'è ovvio - a pagare la gran quantità delle entrate fiscali. L'eurotassa che Romano Prodi si inventò nel 2006 per facilitare l'ingresso dell'Italia nell'euro la pagarono all'80% quelli dal ceto medio-alto in su.  Il vituperatissimo Gérard Depardieu, uno che aveva cominciato da garzone di bottega, negli anni ha pagato di tasse molto più di quante ne paghino in Francia gli iscritti ai gruppi di estrema sinistra.  Ci metto la mano sul fuoco. E poi c'è che già l'abuso di questo aggettivo, «ricco», mi irrita da quanto non dice nulla sulla verità delle cose. Ovvio che se uno nasce bene e eredita 50 appartamenti da dare in affitto, merita senz'altro la qualifica di ricco. Solo che a quel punto è molto semplice. O proibisci la trasmissione dei beni per via ereditaria, e questo non mi pare che lo proponga nessuno; oppure, più semplicemente e senza maledire nessuno, controlli che questo signore denunci il reddito che ricava dal fittare questi 50 appartamenti.  Tutt'altra cosa è se un reddito equivalente uno se lo procura col suo lavoro, anche la domenica, anche la notte, e soprattutto con l'eccellenza di questo lavoro. Un tale personaggio oggi paga allo Stato il 52% del suo reddito marginale.  È sufficiente, è sufficientemente «equo» quanto a redistribuzione del reddito? Un tale personaggio merita un grazie oppure che tu gli schiaffi in volto la qualifica di «ricco»? Lui che pure non era un personaggio da due soldi - era anzi quello che ci metteva la faccia -, il ministro delle Finanze Vincenzo Visco cadde nel ridicolo quando disse che gli italiani che dichiaravano un reddito annuale superiore ai 75mila euro lordi erano da reputarsi «ricchi» e quindi se lo meritavano l'aggravio fiscale deciso nel 2006 da Romano Prodi.  Negli anni migliori del mio itinerario professionale, e accumulando i tre o quattro lavori che sapevo fare, arrivavo a dichiarare 340-360mila euro lordi l'anno su cui ne pagavo 140mila di tasse. Uno mi avesse chiamato «ricco», gli avrei dato un calcio nei denti. Mi aspettavo che il Fisco mi mandasse un telegramma di auguri il giorno del mio compleanno, questo sì. Com'è che in qualsiasi negozio stendono un tappeto quando entra un cliente eccellente, e invece il Fisco non lo fa con i suoi clienti migliori, quei pochissimi italiani che dichiarano più di 200mila euro lordi l'anno? Altro che «ricchi» contro cui inveire in un qualche comizietto televisivo.  Sto parlando di gente che lavora, sto parlando di contribuenti onesti, una denominazione nella quale includo anche quelli che evadono un dieci-venti per cento del loro reddito (se potessi lo farei anch'io). Tutt'altro discorso quelli che vogliono gabbare il fisco. Quando alla domenica sera mi sedevo in un set televisivo di Mediaset a chiacchierare di sport, e scoppiò la faccenda della maxi-evasione fiscale di Valentino Rossi - un campione sino a quel momento da me amatissimo -, non la finivo di dire quanto Valentino mi avesse deluso e quanto volevo che pagasse il suo debito fiscale con l'Italia, ossia con noi tutti. Certo che Valentino era ricco, ricchissimo, e voglio ben vedere il contrario con il talento mostruoso che aveva e con i rischi che prendeva ogni volta che si accartocciava a imboccare una curva. Il punto era che aveva cercato di frodare il fisco, e questo non va bene proprio anche se non c'entra nulla con il tassare «i grandi patrimoni». Non c'entra nulla con lo stucchevole maledire i ricchi. C'entra che non ci sono i ricchi e i poveri. Ci sono i destini di tutti, quelli che hanno avuto fortuna e quelli che non ce l'hanno. C'è la diseguaglianza degli esseri umani, purtroppo ineliminabile. L'importante è che chi abbia avuto molto, restituisca molto alla società. Il prelievo fiscale progressivo voluto dalla nostra Costituzione è lì per questo. Tutto il resto dei casi e degli uomini appartiene alla letteratura, non certo ai comizietti da due soldi.  

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