Il flop elettorale di Monti:peserà meno di Nichi Vendola
Per i sondaggi il Porcellum, che premia i partiti della coalizione più votata, consentirà a Sel di massimizzare il suo 7% con 57 seggi. Più di quelli di tutti i "centrini"
di Tommaso Montesano Non solo non sfonda. Al punto che dopo l'annuncio della sua “salita in politica”, secondo i sondaggi Mario Monti e la coalizione centrista composta da Scelta civica, Udc e Fli restano inchiodati al 12%. Come la settimana scorsa. Ma con questi numeri, complice il complesso meccanismo elettorale previsto dal Porcellum, a Montecitorio in termini di seggi l'intera coalizione del Professore è destinata a pesare meno della sola Sel di Nichi Vendola. E questo perché il polo montiano, in caso di vittoria del centrosinistra, sarà costretto a spartirsi con centrodestra, Lega, Movimento 5 stelle e il duo Di Pietro-Ingroia meno della metà degli scranni di Montecitorio. Vale a dire 273. Quelli che spettano alle coalizioni sconfitte. «Il centro? Al momento al Senato, dove presenterà una lista unica, vale il 12%», sostiene Nicola Piepoli, presidente dell'omonimo istituto di ricerca. Una percentuale che il sondaggista assegna alla coalizione del Professore, giocoforza, anche alla Camera. «E i valori sono quelli della settimana scorsa», precisa Piepoli. Così distribuiti tra le singole forze dello schieramento: «Un 6% all'Udc, un 4% a Scelta civica, un 2% a Fli». Complice la legge elettorale, però, questo 12% - sempre che rimanga tale - peserà ancora meno in termini di seggi. E questo perché mentre la coalizione data per vincente, quella composta da Pd e Sel, si dividerà i 340 posti previsti dal premio di maggioranza, i centristi dovranno mettersi in coda per accedere ai 273 scranni residui. Escludendo dalla conta i dodici seggi riservati alla circoscrizione estero, i quattro per le minoranze linguistiche e quello per la Valle d'Aosta. «E con il 12% dei voti, la coalizione montiana non porta a casa neanche sessanta deputati», spiega Piepoli. La simulazione assegna una trentina di seggi all'Udc, una ventina alla lista civica del premier e una decina ai finiani. Con un paradosso: con la sua «salita in politica», Monti mette sul piatto da offrire eventualmente a Pier Luigi Bersani gli stessi deputati che è destinato a portare a casa Vendola. Il leader di Sel, infatti, beneficerebbe della prospettiva di dividersi con il Pd e gli altri alleati di centrosinistra i 340 seggi assegnati dal premio di maggioranza. «Ad esempio: se Sel ottenesse il 7% dei voti, oggi è al 6%, avrebbe diritto ad ottenere 57 seggi», calcola Piepoli. Addirittura uno in più dell'intera coalizione centrista che pure uscirebbe dalle urne col 12%. Alle difficoltà numeriche Monti è costretto a sommare quelle strategiche. «Potenzialmente, la sua coalizione potrebbe aspirare al 15, 16%», dice Maurizio Pessato, amministratore delegato di Swg. Il premier, tuttavia, prima deve uscire dall'ambiguità. «Punto primo: non può impostare la campagna elettorale sulla prevalenza della società civile e poi allearsi con politici di lungo corso come Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini. Loro e Monti, oltretutto, rischiano di pestarsi i piedi nella caccia alla medesima porzione di elettorato. Secondo: Monti prima dice di voler superare i vecchi schemi di destra e sinistra e poi afferma di collocarsi nel mezzo. Un posizionamento fumoso che sa di politichese», osserva Pessato. Tutto questo mentre sull'altro piatto della bilancia, quello del centrosinistra, «Vendola non potrà certo essere trattato da Bersani come l'ultimo arrivato, visto che avrà eventualmente vinto le elezioni da co-protagonista».