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Fini e Casini bidonati: niente Monti nel simbolo

Giulio Bucchi
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di Marco Gorra Gianfranco Fini non chiederà ospitalità a Pier Ferdinando Casini. Sulla scheda per Montecitorio delle prossime elezioni il simbolo di Futuro e libertà ci sarà, quasi sicuramente col presidente della Camera capolista ovunque. Confermata anche - come però era scontato - la confluenza dei candidati finiani nel listone unico dei montiani per il Senato. Intorno alla decisione c'era attesa dopo che nei giorni scorsi era iniziata a girare la voce secondo cui, spinto dai sondaggi disastrosi, Fini avesse meditato di non lanciare il proprio partito verso la sconfitta risolvendosi a chiedere qualche posto all'ombra dello scudo crociato di Casini. Un acconto di trattativa, raccontano, ci sarebbe anche stato ma da una parte la lesina di Pier (il leader Udc si sarebbe detto disponibile ad imbarcare il solo Fini) e dall'altra la rassicurante prospettiva offerta dal meccanismo di ripescaggio del Porcellum (che qualora la coalizione prenda almeno l'8% assegna seggi anche alla prima delle liste rimaste sotto la soglia di sbarramento del 2%) hanno indotto il presidente della Camera a fare il grande passo. Presentando il proprio simbolo Fini conta anche di avere mani libere quanto a compilazione delle liste. Dove, come da Fli ci si premura di far trapelare sulle agenzie, ci sarà sì da usare «la massima rigidità» in ossequio «caratteri di candidabilità e novità introdotti dallo stesso Monti», ma sulle quali l'ufficio di presidenza «ha dato mandato pieno al presidente Gianfranco Fini, in base a quanto previsto dallo statuto del partito, di provvedere alla composizione delle liste». Il significato è chiarissimo: Fini - ricalcando quanto fatto da Casini pochi giorni or sono - non è intenzionato a pagare tributi di sangue alla draconiana selezione all'ingresso di Enrico Bondi: le liste sono mie e l'ultima parola su di esse pure. In area centrodestra scaldano i motori anche i fuoriusciti del Pdl. I quali hanno l'obiettivo di dare vita ad una lista autonoma (nome di lavorazione “Popolari italiani per Monti”, simbolo già registrato a Bruxelles da Mario Mauro) ma che nemmeno disdegnerebbero un qualche diritto di tribuna nella lista personale del Professore. Isabella Bertolini e Giorgio Stracquadanio, promotori dell'operazione, stanno sondando ex colleghi quali Franco Frattini, Alfredo Mantovano e Giuliano Cazzola onde conferire nomi di lustro al raggruppamento (risposte ancora interlocutorie, tuttavia). Intanto, la macchina elettorale del premier continua a marciare verso la presentazione delle liste. Pur tra le rilevanti tensioni che la volontà di Monti di essere detentore della sola voce in capitolo comporta, l'operazione procede e si è fiduciosi di chiuderla in pochi giorni. C'è, tuttavia, da fare i conti con due intoppi sbucati lungo la via. Il primo è un intoppo storico, e si chiama demoscopia. La quale conferma lo scarso sfondamento dell'area montiana: il sondaggio realizzato ieri dall'Istituto Piepoli per Affari italiani fotografa uno smilzo (ancorché in media con le rilevazioni dell'ultimo mese, dato che dovrebbe far riflettere) 12 per cento di consensi in capo al Professore, con un distacco di cinque punti percentuali dal Pdl, che si classifica al secondo posto dietro il Pd col 17%. Il secondo intoppo è tecnico, e si annida nella legge elettorale. Più precisamente, si annida nell'obbligo per «tutte le liste, anche quelle coalizzate, a utilizzare contrassegni diversi, non confondibili tra loro». Liste che pertanto «non possono avere in comune lo stesso logo, neppure “singoli dati grafici” o ”espressioni letterali”». Tradotto: il trucchetto di appiccicare l'etichetta di Monti anche sugli altri simboli della coalizione (in primis quelli di Udc e Fli) come i capi politici dell'alleanza sono tentati di fare aiuterà a drenare voti, ma non è praticabile in quanto espressamente vietato. «Ci auguriamo», affonda il colpo il deputato azzurro e massimo esperto della materia Peppino Calderisi, «che il ministro Cancellieri vigili sul rispetto della legge e non cada in un macroscopico conflitto di interessi, come già accaduto con il decreto legge sulle firme che recava una spudorata norma “ad listam”, introdotta dal governo all'ultimo momento per favorire la sola Udc, e che il Parlamento ha giustamente cassato con la legge di conversione».

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