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Monti sguinzaglia Casini e LucaE' già campagna acquisti: caccia grossa tra Pd e Pdl

Casini e Montezemolo

Ma per ora nella coalizione montiana arrivano solo Ichino e pochi altri. Il leader Udc: "Con Bersani solo se serve". Spera che dalle elezioni esca un Paese ingovernabile

Andrea Tempestini
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  La "discesina in campo" di Monti fa felice Pier Ferdinando Casini, che da mesi corteggia il Professore. La gioia del leader centrista si riversa su Twitter: "E' tutto nelle mani di Monti, con Bersani dopo il voto ma solo se serve. Giochiamo per vincere". Nella mattinata di lunedì 24 dicembre, Casini e il segretario dell'Udc Cesa, hanno incontrato Montezemolo e il ministro Andrea Riccardi. Un vertice riservato in cui i leader si sono detti in piena sintonia con l'agenda Monti e in cui hanno deciso di rimettersi alla decisione del Professore sulla scelta tra una lista unica o più liste federate. Poi le parole di Casini sul social network hanno inquadrato la situazione: anche Pier, come Monti (e come sottolinea Franco Bechis) "spera" in una rimonta del Pdl che renda il Senato ingovernabile. Così Bersani e il Pd, in caso di vittoria risicata, dovrebbero allearsi con i centristi guidati da Monti. Segue l'articolo di Marco Gorra. di Marco Gorra Quante divisioni ha Monti? Poche, e per il momento nemmeno granché equipaggiate. Problema non secondario, specie in considerazione del fatto che la realizzabilità del progetto del Professore (ovvero tornare a Palazzo Chigi evitandosi la seccatura di passare per le urne) proprio dall'efficacia dell'ufficio reclutamento dipende. Fuor di metafora, aggregare intorno alla celebre agenda una forza in grado - per quantità e qualità di voti portati in dote - di condizionare il risultato elettorale al punto da azzoppare la vittoria di Bersani e costringerlo a venire a patti col centro è per Monti l'obiettivo della vita. E per farlo, le forze attualmente a disposizione non bastano. Il centrino di Casini e Montezemolo (sintomatico che le parole «Gianfranco Fini» ieri mai siano uscite dalla bocca di Monti) ha numeri troppo sottodimensionati per le ambizioni del Prof. Che, alla fine, consistono nella gara a rendere ingovernabile il Senato. La Camera è persa (nulla mette a rischio il piazzamento del centrosinistra come prima coalizione ed il conseguente incasso del premio di maggioranza), mentre a Palazzo Madama - che assegna il premio di maggioranza su base regionale - i giochi sono aperti. Monti disegna di conseguenza la propria strategia. Sullo sfondo, per paradossale che sembri, resta la speranza che Berlusconi (specie se in tandem con la Lega) faccia un buon risultato al Nord: se il centrosinistra perdesse la Lombardia, le sue prospettive a palazzo Madama si farebbero assai più fosche. Idem per l'Abruzzo, dove i sondaggi danno un Pdl a rischio affermazione. Ma per costringere Bersani a presentarsi col cappello in mano non basta che il leader del Pd abbia pochi senatori. Serve che i montiani ne abbiano abbastanza (da prendere specialmente al Sud) per fare l'ago della bilancia. E qui si viene al centro della questione: Monti, non dissimilmente da come fanno le squadre di calcio in questo periodo, deve impegnarsi a fondo nel mercato di riparazione. O, meglio, deve fare impegnare i suoi luogotenenti, in testa Pier Ferdinando Casini e Luca Cordero di Montezemolo. Chiamandosi formalmente fuori dalla contesa elettorale (c'è chi racconta che la decisione di Monti sia maturata proprio in virtù di insanabili dissidi quanto ad assetto e formazione delle liste), il premier ha fatto capire che saranno altri a dover fare la corsa portandolo sulle spalle. E, nel quartier generale centrista, l'allarme è già scattato. Consapevoli di essere stati lasciati un po' in mezzo al guado dal Professore (la cui sfruttabilità in campagna elettorale sarà minore di quanto si preventivava), Casini e Montezemolo si preparano a mettere in piedi la «coalizione credibile» chiesta dal presidente del Consiglio. Credibile e - e la difficoltà viene qui - coi voti. Quanto a credibilità soccorre la società civile. Montezemolo traccheggia, dice che «farò quello che serve» e che «parlerò con Monti» ma sembra sempre più orientato a mettersi in pista. Oscar Giannino scalda i motori ed offre il posto di capolista in Senato a Pietro Ichino, fresco transfuga dal Pd (area Renzi) folgorato sulla via dell'agenda Monti. Si sondano esponenti della mitica società civile (Emma Marcegaglia in testa). Solo che le belle facce della società civile di voti ne portano in dote pochini. E quindi cercare di prendere pezzi a destra e a sinistra diventa un imperativo. Il passaggio sull'agenda «erga omnes» proprio a questo serve, rendere il più inclusivo possibile (nell'ottica montiana) l'invito a passare col Professore. Ed un primo risultato già c'è: oltre al citato Ichino, i quattro parlamentari del Pd D'Ubaldo, Adragna, Pertoldi e Fogliardi hanno lasciato il partito di Bersani e sono passati a sostenere l'area montiana (e a portarle voti).   Resta il nodo dell'assetto. Scontata la lista unica al Senato (sennò addio superamento della soglia dell'8%), si fa strada l'idea di fare altrettanto alla Camera. Nel caso, si aprirebbe la partita tra politici di professione e volti nuovi, coi primi assai poco disposti a fare spazio ai secondi in nome del rinnovamento: «Sto in Parlamento da tanti anni e non posso farmi la plastica facciale», dice Casini, «noi dobbiamo capire se riusciamo a mettere insieme società civile e buona politica, c'è uno spazio immenso». Tradotto: posti gratis alle belle figurine abbiamo intenzione di darne il minimo sindacale. Anche perché senza politici che portano voti, tanto vale regalare le chiavi di Palazzo Madama a Bersani e Vendola.  

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