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Berlusconi, dal cilindro esce il Partito Repubblicano

Giulio Bucchi
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  di Barbara Romano Da candidato alla guida dei moderati ad avversario numero uno nella corsa a Palazzo Chigi. Oggi parte la vera campagna d'inverno del Cavaliere, che col Professore passa dai guanti di velluto al pugno chiodato. La nuova strategia, Berlusconi l'ha annunciata mercoledì al vertice convocato a palazzo Grazioli con lo stato maggiore del Pdl e l'ha illustrata a tutti i colonnelli chiamati a rapporto ieri a via del Plebiscito, dove è rimasto blindato tutto il giorno a studiare le sue prossime incursioni mediatiche. Leitmotiv: picchiare duro su Mario Monti prendendo di mira la sua politica fiscale, la sua subalternità alla Troika europea e quello che vis-à-vis con i fedelissimi l'ex premier definisce «patto scellerato con Pier». Scellerato perché «Monti sapeva sin dall'inizio che sarebbe salito sul treno di Montezemolo e Casini», secondo la convinzione che Berlusconi ha confidato ai suoi, «tanto valeva dirlo subito che la mia proposta non era ricevibile invece di tirarsela tanto». A un ex ministro tra i più assidui di Grazioli, il Cav però ha confidato di sentirsi con la coscienza a posto: «Tutto quello che potevo dargli, la mia leadership, io gliel'ho offerto su un piatto d'argento. E lui mi ha snobbato. A questo punto non mi resta che combatterla io questa battaglia». Pura tattica, a sentire i montiani del Pdl, molti dei quali leggono in questa improvvisa sterzata anti-montiana una mossa ampiamente prevista dal Cav, che non avrebbe mai nemmeno per un secondo preso in considerazione l'ipotesi di cedere il passo al Prof. Il beau geste sarebbe servito solo a parargli le spalle e a giustificare l'ineluttabilità della sua sesta discesa in campo. E ora, dopo aver picchiato duro sulla Germania, i magistrati e la gloriosa macchina da guerra comunista, Berlusconi sposta il mirino sul premier, puntando sul conflitto d'interesse di un capo di governo che prepara la campagna elettorale a Palazzo Chigi.  Un saggio del suo anti-montismo rampante, il Cav l'ha dato ieri, ai microfoni di Radio Anch'io: quarta incursione mediatica in quattro giorni. «Se Monti fosse stato in grado di tenere insieme tutti i moderati non avrei avuto difficoltà a tirarmi indietro». Ancora: «Rimarrei sorpreso se ci fosse una partecipazione alla campagna elettorale di Monti, stavolta sarei d'accordo con D'Alema», che aveva definito «immorale» l'ipotesi che Monti si candidasse contro il Pd. Di più: «Credo non sia nell'interesse di Monti diventare, da deus ex machina, un piccolo protagonista della politica, insieme ad altri piccoli protagonisti». E se fino a qualche giorno fa Berlusconi spiegava che le parole con cui Alfano ha dichiarato chiusa l'esperienza del governo tecnico non erano affatto un atto di sfiducia, ieri ha detto: «Abbiamo sbagliato a non far cadere Monti prima». E giù duro sulla politica economica dell'attuale governo: «La politica dell'austerità porta alla recessione e alla depressione. Bisogna cambiare completamente la politica economica. Andando avanti così i nostri Paesi saranno costretti a uscire dall'euro perché altrimenti si voterebbero al fallimento e al default». A Casini & Co, il Cav dispensa la solita dose di sarcasmo al vetriolo. «Questi partitini del centro che stanno corteggiando Monti dimostrano sempre di più come si assottiglia la loro consistenza». E rilancia il suo appello al voto utile: «Invito gli elettori a non disperdere il voto su questi partitini che rispecchiano solo gli interessi dei loro piccolissimi leader e fanno vincere la sinistra».  Quindi parte il bombardamento del Pd. «La sinistra strilla, vuol dire che hanno paura, negli ultimi giorni abbiamo guadagnato tre punti nei sondaggi». L'obiettivo è puntato su Bersani: «È un disco rotto, sono vent'anni che parlano di conflitto d'interessi mentre le mie trasmissioni non hanno mai attaccato la sinistra. Mentre alla Rai c'è un canale a favore della sinistra e La7, dalla mattina alla sera, fa trasmissioni contro di noi». Ma ce n'è anche per la nomenklatura del Pdl. «Nelle liste del Pdl ci sarà un 80-90% di candidati nuovi, che vengano dal mondo del lavoro, dell'economia e della cultura».  L'arsenale di Berlusconi contiene anche avvertimenti. Uno lo lancia alla Lega: «Senza un'alleanza nazionale» che sostenga la sua premiership, «salta l'accordo in Lombardia» che prevede Maroni candidato alla Regione. E uno alla Chiesa: «Auspico si ricordi cosa abbiamo fatto per la Chiesa negli anni del mio governo e si tenga presente cosa farebbe la sinistra se andasse al governo». E anche sul nome del Pdl alla fine il Cav farà di testa sua: si cambia. «Il rassemblement di centrodestra», annuncia, «potrebbe chiamarsi Partito repubblicano». Con buona pace di Francesco Nucara e Antonio Del Pennino.  

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