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Vi racconto il funerale di Di Pietro, il baciapantofole di Ingroia

Per la cerimonia non abbiamo nulla da indossare, a meno di indossare improbabili tonache arancioni

Eliana Giusto
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di Filippo Facci C'è il funerale di Di Pietro e non abbiamo niente da metterci, a meno di indossare improbabili tonache arancioni. Mentre infiniti articoli descrivono le esequie di Berlusconi (uno che, se gli va malissimo, becca il voto di un elettore su cinque) stiamo trascurando la fine meritatissima del secondo personaggio a cui i media italiani, dopo il Cavaliere, hanno dedicato più spazio negli ultimi vent'anni.  Quasi non c'è gusto, su questa riva del fiume, a vederne galleggiare i pezzettoni e non un solo e goffo corpaccione, peraltro intubato dalle flebo che pochi talkshow pietosamente gli regalano. Vent'anni di sbattimento, una Repubblica troppo grezzamente abbattuta, innocenti sbattuti in carcere, sofferenze inflitte, tradimenti, voltafaccia, e tutto per che cosa? Per metter su qualche soldo, qualche casetta, per pesare meno di uno come De Magistris; per buttare alle ortiche partito e simbolo dopo un penoso fuggi fuggi generale; per salvare solo se stesso e due o tre mozzorecchi incapaci di intendere ma non di volere. Lui che alle Europee, tre anni fa, prese l'8 per cento. Lui che durante Mani pulite, una vita fa, giunse ad avere la fiducia del 95 per cento degli italiani, i quali - scusate - un po' rincoglioniti dovevano esserlo. Lui che domani, al Manette Show del teatro Capranica, stringi stringi bacerà la pantofola del finto tentenna del Guatemala: l'agonia continua. Ma siam qui sulla riva.

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