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Primarie Pd, il giorno decisivo: tregua Renzi-Bersani, elettori cacciati

Giulio Bucchi
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  di Elisa Calessi Alla fine, da una parte e dall'altra, ha prevalso la paura che oggi ai seggi si scatenasse il caos. Che la «festa della democrazia», come Pier Luigi Bersani ha definito questo secondo turno di primarie, si trasformasse in rissa, in guerra tra supporter renziani e bersaniani.  Per questo, alla vigilia del ballottaggio delle primarie del centrosinistra, dopo 24 ore di clima infuocato che tra i supporter ancora non si è placato e non è detto non abbia qualche scia oggi, si è siglata, almeno tra i due sfidanti, una tregua. Perché a Bersani non conviene che la sua ormai probabile vittoria sia macchiata da accuse di brogli o disordini ai seggi. Perché Renzi, che ormai si è imposto come l'altro leader del Pd, non ha interesse a farsi cucire addosso l'immagine dello sfasciapartito. Il tutto è avvenuto tra respingimenti di massa di voti, con migliaia di elettori che si sono visti rifiutare la richiesta di votare. In media circa 9 domande su 10 sono state rigettate. Nel Lazio sono state accolte 1796 richieste su 17.800, in Emilia Romagna 767 su 12.647, a Firenze 10 su 10mila, a Torino 60 su 4.500, a Milano 200 su oltre 13mila, a Genova 186 domande su 1800, nelle Marche 253 su 4.097, in  Puglia 100 su 3595. E via così. Nel pomeriggio Luigi Berlinguer, presidente dei Garanti, ha confermato l'interpretazione restrittiva della norma: può votare solo chi si è già registrato entro il 25 o chi lo ha fatto il 29 e il 30 e ha ricevuto una risposta affermativa dai coordinamento provinciali. Resta, da parte dei renziani, l'indicazione a chi si è registrato di andare comunque ai seggi con la mail. Ma l'ordine è di non farsi coinvolgere in risse.  Il primo a fare un gesto di distensione, nonostante l'amarezza, è stato proprio Renzi, ieri mattina, con un tweet al segretario: «Siamo entrambi a  Milano. Ci prendiamo un caffè insieme e facciamo un appello alla serenità per domani?». Qualche ora dopo è arrivata la risposta: «Ora abbiamo qualche problema  logistico, ma anche un pranzo, quando c'è l'occasione. Sono dispostissimo a fare un appello alla serenità, alla regolarità di tutto quello che deve avvenire. Domani dobbiamo chiudere con una grande festa della democrazia, dopodiché ci si mette a lavorare assieme». Il sindaco di Firenze ha anche promesso che, «se vince Bersani, nessuno griderà ai brogli». E un segnale distensivo, almeno così nello staff del sindaco si interpreta, è arrivato anche dal segretario quando ha detto che «Matteo sulle regole ha opinioni  diverse, ma sono convinto che in queste ore maturerà in tutti  l'intenzione di rispettarle». Perché quello che più ha fatto infuriare il Rottamatore, in queste ore, è stato passare per quello che viola le regole, che vuole sfasciare tutto. «Noi non abbiamo infranto nessuna regola. Al contrario di loro», continua a ripetere. «Non ci interessa lo scontro e le botte ai seggi», spiegano nel suo staff. «Non ci interessa truccare alcun risultato. Non vogliono far votare la gente? Ci adegueremo». Non è una resa. Fino a domani sera Renzi i suoi lotteranno voto per voto, seggio per seggio. L'obiettivo resta quello di vincere. Anche se la subordinata, e l'ipotesi più probabile, è quella di perdere. I bersaniani sono convinti che al Sud faranno meglio del primo turno. E che Marche e Umbria stavolta passeranno al segretario. Il Rottamatore, secondo i loro calcoli, dovrebbe vincere solo in Toscana e Piemonte. Nell'inner-circle non si fanno previsioni. Certo, con un'affluenza molto probabilmente sotto i 2 milioni se non attorno all'uno, il sindaco è in svantaggio. Peraltro ieri, come previsto, si è aggiunto anche l'endorsement di Laura Puppato a Bersani. Vincere con tutti contro e le porte sbarrate ai seggi è quasi impossibile. La subordinata, allora, è perdere bene. Cioè «con un risultato che abbia un 4 davanti e Bersani un 5». Oltre il 40% sarebbe una grande vittoria. Renzi diventerebbe l'azionista di quasi metà del Pd.    Cosa accadrà lunedì, però, è tutto da vedere. «Lavoreremo insieme, ognuno nel suo ruolo», ha detto Bersani. «Da lunedì sarà al lavoro una grandissima squadra che nel frattempo è diventata uno squadrone». I fedelissimi del segretario confermano che questa è la sua intenzione. Paradossalmente chi più ha interesse che accada questo è Bersani: Renzi gli serve per vincere bene le elezioni e per liberarsi definitivamente dai Dinosauri del partito. «Lunedì i più preoccupati saranno Bindi, Fioroni e D'Alema», si diceva, ieri, al comitato di Bersani. Più prudente è Renzi che, certo, ribadisce la sua lealtà («se vince Bersani non grideremo ai brogli»), ma si guarda dall'abbraccio entusiasta del segretario. «Noi si sostiene il vincitore, poi vediamo», spiega  ai suoi. Se, per dire, l'idea di Bersani è di coinvolgerlo solo per la campagna elettorale, se lo scorda. «Io lunedì torno a Firenze. Bersani, se ha bisogno, mi venga a cercare». Il coinvolgimento deve essere concreto. Non si tratta solo di fare qualche iniziative insieme. Intanto ci sono le candidature per il Parlamento. Poi, se Bersani vuole il suo auto, dovrà riconoscerlo come leader di metà Pd.   

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