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Qualcuno è ancora comunista:Bersani raccatta Diliberto

Il segretario arruola l'ex ministro della giustizia e dipietristi in funzione anti-grilli

Lucia Esposito
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  Elisa Calessi Il giallo ha tenuto banco una buona mezz'ora. Salvo finire con una auto-rettifica dell'Ansa. Ma dietro all'errore giornalistico, si muove una partita verissima. E decisiva. Succede che la nota agenzia di stampa attribuisce a Pier Luigi Bersani, in visita a Torino, la seguente frase: «Se vinco io, faccio Renzi ministro». Lo staff del segretario subito smentisce. Pochi minuti dopo, anche l'agenzia si corregge. Frase annullata. In realtà Bersani, alla domanda se, in caso di vittoria alle primarie e poi alle elezioni, avrebbe offerto un posto al governo al rottamatore, ha risposto così: «Abbiamo un sacco di sindaci che sono enormi risorse, certamente Renzi e tanti altri amministratori. Volete mica fare adesso il giochino del governo?». Ma la frase più interessante l'aveva pronunciata poco prima, ripetendo con grande chiarezza (l'aveva già detto altre volte) che non si ripresenterà al congresso. Quello che, per statuto, dovrà svolgersi il prossimo anno: «Non mi ricandiderò segretario. Credo che al prossimo congresso debba girare la ruota». Un'affermazione che apre, ufficialmente, la corsa alla successione. Ma chi saranno i partecipanti? O il partecipante, se Bersani, una volta diventato premier, passerà il testimone a una persona precisa? Questa è la vera offerta che il segretario ha fatto al sindaco.  La reazione Renzi nega  Sia di essere interessato a un posto nel governo, sia di puntare al partito: «Se perderemo le primarie saremo leali con chi le ha vinte. Però io non farò né il ministro, né il sottosegretario, né il parlamentare». Anche se, secondo un sondaggio diffuso ieri dal Tg di La7, sarebbe al secondo posto, dopo Monti, come il premier più gradito. Quanto al partito, «mi sembra che questa cosa Bersani l'abbia già detta», ha tagliato corto. Chi conosce il sindaco, assicura che la partita non gli interessa. Di sicuro non il governo, non da ministro: sembrerebbe uno strapuntino. Ma nemmeno il partito. Molto meglio fare il primo cittadino di una delle principali città italiane che caricarsi il peso di un carrozzone litigioso, peraltro senza avere la prospettiva di elezioni vicine. Eppure il tema c'è.  Prima dell'estate, secondo una fonte autorevolissima, Bersani mandò Dario Franceschini da Renzi proprio per offrirgli la guida del partito. In cambio di una rinuncia alle primarie. «Ci sono le elezioni, ora concentriamoci su questo. Poi, dopo l'estate, facciamo il congresso e tu ti prendi il partito», gli avrebbe proposto Franceschini per conto di Bersani.  Il sindaco declinò l'offerta. E pare non abbia cambiato idea. I suoi, però, spingono perché si candidi. «Se perdiamo, bisognerà trovare uno sbocco a questo movimento di gente che si è creato attorno a Matteo», spiega uno dei fedelissimi. Se non vuole scendere in campo lui, almeno indichi qualcuno. Il nome più gettonato, in alternativa a Renzi, è quello di  Graziano Del Rio, presidente dell'Anci. Uno che, si dice, potrebbe unire anche chi ora sostiene Bersani. Un'altra soluzione è Franceschini, anche se l'interessato preferirebbe fare il ministro o il presidente della Camera. Altro aspirante alla successione è Enrico Letta. «Prima del ciclone Renzi», si spiega al Nazareno, «era l'uomo del dialogo tra maggioranza e minoranza e qualche chance ce l'aveva». Ma oggi è diverso. C'è poi Enrico Rossi, governatore della Toscana e riferimento dell'ala neo-laburista del Pd. Se si andasse allo scontro tra bersaniani e renziani, potrebbe rappresentare i primi.      Le elezioni Intanto, però, bisogna vincere le elezioni. Bersani è molto preoccupato dalla possibilità che attorno al Movimento Cinque Stelle si crei una coalizione che inglobi movimenti no Tav, Fiom, Di Pietro, liste civiche. Per questo si è convinto che occorra fare un grande listone. O una mini-coalizione. Da contrapporre a Grillo. Insomma un polo anti-Grillo. Molto dipende dalla legge elettorale. Ma la direzione è questa. E le trattative sono avviate. Per esempio con Oliviero Diliberto, Cesare Salvi e Gian Paolo Patta, che hanno rotto con la Federazione della Sinistra. Per loro o per uomini da loro indicati ci sarebbero tre posti alla Camera. Qualcosa di di più potrebbe andare alla pattuglia di eletti dell'Italia dei Valori che, guidata da Massimo Donadi, dovesse mollare Di Pietro. Otto seggi, poi, Bersani li avrebbe promessi a Luigi De Magistris, il sindaco di Napoli che fra poche settimane lancerà il suo Movimento Arancione. Ci sono poi le donne di “Se non ora quando”, a cui il segretario ha già offerto 4-5 seggi. E altri andranno a Sel: il numero cambierà a seconda che il partito di Vendola entri tutto nel listone o si presenti alleato. In quest'ultimo caso, il Pd comunque garantirà 3-4 posti nelle proprie liste, nel caso i vendoliani non raggiungano lo sbarramento.   

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