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Casini sbaglia parrocchia col Pd rischia la fine

Pier potrebbe prendere per mano il centrodestra. Con la sinistra non c'entra. Finirebbe a fare il cugino di Bersani e Sel

Ignazio Stagno
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di Giampaolo Pansa Pur essendo un signore sveglio e non ancora attempato (57 anni tra un mese), forse Pier Ferdinando Casini non si rende conto di un fatto che lo riguarda molto da vicino. Il fatto è la grande speranza che ripongono in lui molti elettori di centrodestra, e anche molti italiani disposti a votare per la prima volta il blocco moderato.  Di questo mi sono accorto da un pezzo, perché vivo in un piccolo centro dove è più facile intuire come la pensino quanti non amano il rosso. Spesso mi chiedono: «Lei che fa il giornalista sa dirci cosa aspetta Casini a decidersi?» Domando: «Decidersi a fare cosa?». La risposta è sempre la stessa: «A stare dove è naturale che stia: lontano da Bersani e da Vendola. Per tentare di dare una scossa al centrodestra e, se risulterà possibile, guidarlo nelle prossime elezioni».  Perché Pierferdi suscita questa speranza? Capirlo è semplice. Basta gettare un'occhiata al poco che resta del blocco un tempo guidato da Silvio Berlusconi. Il maxi  protagonista, ossia il Cavaliere, non è più in grado di capeggiare alcunché. Ha ancora dei tifosi  che si butterebbero nel fuoco per lui. Ma la schiera dei fedelissimi si sta riducendo a vista d'occhio.  La causa prima di questa scomparsa di consensi risiede nello stesso Silvio. Il tragico discorso di villa Gernetto ha rivelato che non è più l'uomo delle grandi vittorie. Il tempo è passato anche per lui. Rivederlo tornare alla guida del centrodestra sarebbe una sciagura. E ridurrebbe a zero le già scarse possibilità di successo. Ma se il Cavaliere sta male, anche gli altri vip del Pdl non se la passano tanto bene.  Angelino Alfano è un martire dell'impegno politico. Dopo averlo nominato segretario del partito, Berlusconi lo ha subito messo alle corde e indebolito. Vi ricorderete quando il Cav ha dichiarato che al povero Angelino mancava il «quid». Ossia non possedeva il nonsochè capace di trasformare un buon dirigente in un leader.  Quando Silvio gli sferrò quel colpo sotto la cintola, ho pensato che fosse impazzito. Aveva fatto una mossa non soltanto omicida, ma suicida. Identica a quella del presidente di una squadra di serie A che metta in sella un allenatore. E invece di sostenerlo, si affretti a dichiarare alla stampa sportiva che non meriterebbe di allenare neppure una squadra della B.  Da quel momento in poi, Alfano si è trovato sulla graticola. Che cosa poteva fare? Ben poco. Poi è arrivata la sconfitta nelle regionali siciliane. La colpa del crac del Pdl è stata gettata addosso a lui. Angelino si è difeso con una schietta conferenza stampa. Mostrando l'unica carta che possedeva: l'annuncio delle primarie nel Pdl. L'ho visto e ascoltato nella diretta televisiva: mi è sembrato un San Sebastiano trafitto dal fuoco amico. Ossia dalle frecce scagliate dal suo stesso principale.  Gli altri capi del Pdl mancano del «quid» anche più di Alfano. Conosco parecchi di loro. Sono buoni politici che meritano di ritornare in Parlamento. Ma nessuno è in grado di prendere il posto di Berlusconi. Per di più, la catastrofe dell'ultimo governo del Cav li ha cacciati nell'angolo, sul margine della rottamazione. E anche loro si sentono malfermi sulle gambe.  La conclusione è inevitabile. L'Italia ha bisogno di un centrodestra rinnovato e in grado di combattere la ditta Bersani & Vendola che tutti considerano a un passo dalla vittoria. Ma per riuscirci deve darsi una struttura diversa e, soprattutto, individuare un Papa straniero. Ossia cercare un leader non coinvolto nel crac del novembre 2011 che ha portato alla nascita del governo tecnico di Mario Monti. E sia in grado di affrontare la guerra elettorale prossima ventura.  I giornali hanno azzardato più di un nome. Fra tutti spicca quello di Luca Cordero di Montezemolo. Ma il capo della Ferrari, il mitico Montez, sino a oggi si è rivelato un italico Amleto. Anche i sassi conoscono da tempo il suo desiderio di scendere in campo da politico. Però lui non si decide.  Mi butto o non mi butto? Il dilemma senza fine non giova a Montezemolo. La crisi che strozza anche l'Italia esige scelte rapide. Nessuno può ridursi a fare come la zitella Cecilia. Rammentate che cosa le accadeva? Tutti la volevano, ma nessuno la pigliava. Perché lei era restia a concedersi.  Un Papa straniero potrebbe essere lo stesso Monti. È un rigoroso moderato. E si è conquistato i galloni del generalissimo. Lui sarebbe in grado di diventare il leader del nuovo centrodestra. Ma non conosciamo quanta voglia abbia di infilarsi in una campagna elettorale devastante come quella che si annuncia. Del resto per Monti esiste una prospettiva adatta alla sua figura. Nel maggio 2013 potrebbe diventare il presidente della Repubblica e succedere in modo degno a Giorgio Napolitano.  L'unico nome di uno straniero che il centrodestra può spendere è quello di Casini. Anche lui non ci ha ancora spiegato dove si collocherà, se nel centrodestra oppure nel centrosinistra. A mio parere, Pierferdi sbaglierebbe se decidesse di aggregarsi a Bersani e Vendola. Questo sarebbe un errore mortale per lui e per la forza che rappresenta, piccola o grande che sia.   I perché sono tanti, ma uno viene prima di tutti gli altri. Venerdì, su Libero, la brava Elisa Calessi ci ha offerto un'analisi inappuntabile sulla base di due sondaggi della Ipsos effettuati per Ballarò. Se andremo a votare con il Porcellum, la legge elettorale che i partiti preferiscono anche se non lo confessano, grazie al premio che spetta al vincitore Bersani e Vendola avrebbero la maggioranza assoluta della Camera (340 seggi) anche senza l'alleanza con l'Udc di Casini. Tanto è vero che se l'Udc si aggregasse al tandem rosso, il risultato non cambierebbe, sempre 340 seggi. A questo punto, c'è una domanda inevitabile. Quale convenienza ha Casini di  mettersi con il Pd e con Sel? Diventerebbe il cugino povero di un signore ricco, Bersani, e di un sinistro arrogante, Vendola. La sua fine è prevedibile: risultare  l'ultima ruota del carro. La comparsa alla quale si può dire: «Vai avanti tu che a me viene da ridere!».  Gli attuali chiari di luna mandano in confusione Pierferdi. Non fa che ripetere una giaculatoria ormai stantia. Dice che dopo le elezioni siciliane è possibile un patto con il Pd se rompe con gli estremisti. Ma è una richiesta priva di senso. I peggio ultrà stanno dentro il partito di Bersani. E non hanno nessuna intenzione di lasciarsi mettere fuori. Basta pensare alla Rosy Bindi o un dirigente come Fassina, un compagno cupo con la mutria di chi minaccia sempre sfracelli.   Tuttavia Pierferdi non è un uomo senza storia e privo di memoria. È cresciuto nella Balena bianca democristiana, alla scuola di maestri pragmatici e con la giusta dose di cinismo, Forlani e Bisaglia. Nella Seconda repubblica è stato un ottimo presidente della Camera. Adesso può entrare in un'altra fase del suo percorso politico. E ha il dovere di non sbagliare strada.  Il centrodestra ha bisogno di Casini. Ma anche Casini ha bisogno del centrodestra. Stia lontano da Bersani. Qualunque accordo stringa con lui, si troverà con un laccio al collo. E non potrà più presentarsi in piazza, perché i moderati lo sommergeranno di fischi.  Tutto accadrà sotto le occhiate beffarde di Pierluigi e Nichi. Che si daranno di gomito, dicendosi: «Guarda ‘sto fesso di Casini! Pretendeva di fare il democristiano in casa nostra e adesso ha quel che si merita!». Mentre Beppe Grillo, con l'aiutante Tonino Di Pietro, starà già preparando la ghigliottina per l'intera Casta.

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