Azzurri, primarie senza soldi:a rischio gli stipendi nel Pdl
Fondamentale il contributo di 2 euro: serviranno almeno 3 milioni di euro. In cassa ora non c'è liquidità: il partito potrebbe non riuscire a pagare i dipendenti
di Tommaso Montesano Una corsa - organizzativa - contro il tempo. Con l'incognita dei costi e il rebus della partecipazione. La febbre delle primarie contagia il Pdl, ma gli ostacoli non mancano. Il primo riguarda l'aspetto economico. Per la consultazione del 16 dicembre, infatti, a via dell'Umiltà servono almeno tre milioni di euro. Una cifra, però, che al momento il tesoriere del partito, Rocco Crimi, non è in grado di mettere a disposizione degli organizzatori. In cassa non ci sarebbe più liquidità. Al punto che dal prossimo 15 marzo il Pdl potrebbe non essere più in condizione di pagare gli stipendi dei dipendenti e le utenze. Da qui l'allarme sulle primarie, per le quali il Pd, nel centrosinistra, ha stanziato dieci milioni di euro. Un numero che il Pdl non potrà eguagliare. A meno che Silvio Berlusconi non metta mano al portafogli. «Ma se il Cavaliere fa la sua lista, i soldi non li vediamo», osserva un maggiorente di via dell'Umiltà. Se Berlusconi non strappa, invece, «vedrete che alla fine il denaro lo tirerà fuori». Difficoltà che ieri hanno suscitato l'ilarità di Pier Luigi Bersani, segretario del Pd: «Non fatemi dire che dobbiamo prestarglieli noi i soldi, perché fin lì non ci arrivo...». Battuta che provoca la reazione del segretario del Pdl, Angelino Alfano: «Bersani inciampa sullo stile e cade. Stia tranquillo: le primarie le faremo con soldi puliti e con dignità». Sarcastico Francesco Casoli, vicecapogruppo al Senato: «Magari Bersani può metterci una parola buona con Penati...». E Maurizio Gasparri, presidente dei senatori, rincara la dose: «Da uno che aveva come braccio destro Penati non si possono accettare prestiti». Fatto sta che il quadro, a un mese e mezzo dall'apertura delle urne nei gazebo, dal punto di vista economico non è certo incoraggiante. Ecco perché una delle regole messe a punto dal tavolo dei «saggi» pidiellini prevede il versamento di un contributo di due euro per votare. Sperando in un'alta partecipazione, l'obiettivo è incassare i fondi necessari a coprire le spese. E qui entrano in ballo le aspettative sull'affluenza ai seggi. L'obiettivo minimo è raggiungere un milione e mezzo di partecipanti. Un traguardo realistico, considerata la base di partenza rappresentata dai 500mila iscritti protagonisti della stagione dei congressi locali del Pdl. Dando per scontato il loro bis, basterebbe (si fa per dire) mobilitare un milione di simpatizzanti per centrare l'obiettivo. Molto dipenderà, però, dagli esponenti del Pdl che saranno in lizza. Al momento le discese in campo ufficiali sono quattro: Alfano, Daniela Santanchè, Giancarlo Galan e, da ieri, Alessandro Cattaneo, sindaco di Pavia. In rampa di lancio restano Giulio Tremonti, Roberto Formigoni, Alessandra Mussolini e Giorgia Meloni, sul quale però il pressing dei big del partito per farla desistere è intenso. Più defilato Guido Crosetto. A tutti Massimo Corsaro, vicecapogruppo vicario alla Camera, chiede l'impegno a restare «nel Pdl anche se Berlusconi farà un'altra lista». Gli attuali candidati non piacciono a Francesco Storace, leader della Destra, che sperava in consultazioni di coalizione: «Il Pdl pensa di cavarsela con le primarie tristi». Ma Gasparri ribatte: «Le primarie servono per scegliere un potenziale presidente del consiglio. Non sono un congresso di partito per misurare la forza di gruppi originari e di correnti». Se ogni componente del Pdl decidesse di presentare il proprio candidato, infatti, la gara si trasformerebbe in un «tutti contro tutti». Al momento sono quattro le principali aree in cui è diviso il partito: berlusconiani «duri e puri», seguaci di Alfano, ex An ed ex forzisti delusi tentati dall'addio. Nel primo gruppo vanno annoverati i fedelissimi del Cavaliere (Paolo Bonaiuti, Denis Verdini, Sandro Bondi e Paolo Romani) e le «amazzoni» Santanchè e Michaela Biancofiore. A favore di Alfano, invece, sono i vertici dei gruppi parlamentari (Fabrizio Cicchitto, Maurizio Gasparri, Gaetano Quagliariello e Osvaldo Napoli), Franco Frattini, Maurizio Lupi e Raffaele Fitto. Poi c'è la galassia degli ex An, che comunque non parla più a una sola voce: Ignazio La Russa e Giorgia Meloni, ad esempio, non escludendo di dar vinta, in caso di «spacchettamento» del Pdl, a una nuova formazione di destra, sono da tempo su posizioni diverse rispetto ad Altero Matteoli e Gianni Alemanno, fedeli al progetto unitario. Il quarto gruppo è quello dei malpancisti in rotta con via dell'Umiltà: ne fanno parte, a vario titolo, Claudio Scajola, Giuseppe Pisanu e, da ultima, Isabella Bertolini.