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"Si salvi chi può" dei finianiCasini ne imbarcherà solo metà

I sondaggi danno i finiani tra il 2,5 e il 3% e l'Udc al 6%. Significa che per un futurista ci sono tre Udc e che dei 26 deputati Fli salirebbero a bordo una dozzina

Matteo Legnani
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  di Brunella Bolloli  Fini-Garibaldi ieri è sbarcato in Sicilia. I suoi «Mille per l'Italia» sono ancora in alto mare, lui è stanco e affranto, depresso per l'ennesima puntata sul clan Tulliani, si sente tradito, non dorme, sembra un pugile suonato, indeciso su dove andare, anche se per ora ha messo in salvo la sua poltrona di presidente della Camera. «Vado avanti a testa alta, continuo il mio impegno politico», ha fatto sapere dopo le ultime rivelazioni sull'affaire di Montecarlo. Da Taormina ha spiegato che Futuro e Libertà, il suo partito (che conta 26 deputati e meno di una dozzina di senatori), è «convintamente schierato a sostegno della candidatura di Gianfranco Miccichè a governatore siciliano». Mentre Gianfry parlava nel messinese, a Palermo il leader Udc, Pier Ferdinando Casini, era in campo per sostenere il Pd Rosario Crocetta nella corsa per il dopo Lombardo. I due big non si sono neppure sfiorati, neanche un incontro informale. In Trinacria si marcia divisi. E il test siciliano è il primo vero banco di prova per capire cosa fare dopo, a livello nazionale. È vero che giovedì, nelle ore drammatiche in cui la terza carica dello Stato è sembrata a un passo dalle dimissioni, con Casini c'è stata una telefonata, Pier lo ha consigliato su come affrontare la tempesta; ma è anche vero che nella pancia del partito comincia a farsi strada l'idea che i guai di Fini non sono una buona pubblicità per la casa dei moderati che si vuole costruire (con Emma Marcegaglia), all'insegna della legalità e pescando dalla società civile.        Sulla carta, Fli e Udc sono ancora insieme. Avanzi di quel fallimentare esperimento politico che è stato il Terzo Polo e che nel frattempo ha perso un pezzo: l'Api di Rutelli, schiacciato dagli scandali e da percentuali da zero virgola. Pier, infatti, fiutata l'aria non ha perso tempo a scaricare l'ex capo della Margherita.  E Fli? C'è un terrore che serpeggia tra gli uomini del presidente della Camera, ed è l'incertezza sul futuro: dentro o fuori dal Parlamento. «Siamo appesi ai democristiani», sintetizzava uno su un divanetto del Transatlantico. Tradotto: siamo nelle mani di Casini  e dei suoi, sono loro a dare le carte in tavola e a decidere il destino degli alleati piccoli. Soprattutto se resta questa legge elettorale e nasce il listone unico, la famigerata “Lista per l'Italia”, fan di un Monti bis a Palazzo Chigi. In questo caso le cose per Fli si complicano. Pochi i posti disponibili sulla zattera pilotata da Pier. I sondaggi danno i finiani tra il 2,5 e il 3% e l'Udc al 6,8%, per cui il rapporto si aggira su tre parlamentari a uno. Significa che per un futurista ce ne sono tre Udc. Dei 26 finiani di Montecitorio salirebbero a bordo meno della metà, escludendo Gianfry (in Parlamento da 30 anni) che a questo punto non è detto riesca a candidarsi nel 2013, anzi secondo alcuni pensa di non ridiscendere in campo. Il pressing, del resto, per fare un beau geste alla Veltroni è forte perfino da parte di alcuni irriducibili di Fli. Finora la mossa non c'è stata. Nonostante le promesse di mollare «se sarà accertato che la casa di Montecarlo è di Gian Carlo Tulliani», Fini rimane lì a presidiare il territorio, anche se il Pdl, con Cicchitto in testa, è tornato a chiedere le sue dimissioni. Per non parlare di Storace e pure Vendola ha infierito. L'ex An per ora resta ai piani alti, ma sul futuro c'è aria di resa. Era trapelata l'ipotesi di un suo incarico in Europa, ma come exit strategy  definitiva.       Il fatto che il presidente della Camera abbia deciso di fondare i «Mille per l'Italia» e di tuffarsi nella campagna di Sicilia significa che in ogni caso vuol tenersi la porta aperta. Possibilmente con un posto sicuro per i fedelissimi, che però sono troppi per starci tutti. Solo alla Camera si contano: Italo Bocchino, Giulia Bongiorno, Benedetto Della Vedova, Chiara Moroni, Roberto Menia, Gianfranco Paglia, Alessandro Ruben, Fabio Granata, Aldo Di Biagio, Francesco Cosimi Proietti, Claudio Barbaro. E siamo già a undici. Carmelo Briguglio è candidato al consiglio regionale della Sicilia; per Nino Lo Presti è già pronto un posto blindato incompatibile con la carica di deputato. Donato La Morte e Carmine Patarino hanno una certa età, ma poi ci sono gli altri, i coordinatori regionali che in caso di legge elettorale con le preferenze sono invece quelli che portano più voti. E che fai, li lasci a casa? L'obiettivo è risalire nei sondaggi per pesare di più. Quindi via libera al tour in tv, interviste, comizi in piazza. Poi, dopo il voto in Sicilia, il redde rationem con i centristi di Casini, che però non è certo disposto a fare ulteriori sacrifici per un alleato molto ingombrante.  

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