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"Ecco come Fini fece pressioneper far lavorare Tulliani in Rai"

Gianfranco Fini

Guido Paglia, ex fedelissimo di Gianfranco, spiega a Francesco Storace come il leader di Futuro e Libertà si "applicò" per spingere il cognato a Viale Mazzini

Andrea Tempestini
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  Pubblichiamo di seguito la lettera che Guido Paglia, ex fedelissimo di Gianfranco Fini, ha inviato a Francesco Storace per pubblicarla sul giornale online www.ilgiornaleditalia.org di Guido Paglia Caro Francesco, in attesa che Gianfranco Fini tenga fede alla parola data (risata) e si dimetta (altra risata), visto che è ormai dimostrata la proprietà della casa di Montecarlo, consentimi di raccontare ai nostri lettori ciò che so di Giancarlo Tulliani. Per esperienza diretta, non per sentito dire. È una vicenda «parallela» a quella dell'appartamento di Boulevard Princesse Charlotte, ma non meno indicativa per tracciare il ritratto del cognatino. Un ragazzotto arrogante e presuntuoso, per favorire il quale l'ex-leader della destra ha cinicamente lesionato l'immagine e la credibilità di un'intera comunità. Me lo mandò in Rai a metà del 2008, appena compiuta la truffaldina compravendita della casa ereditata dalla contessa Colleoni. Voleva mettere in piedi nientemeno che una società di distribuzione cinematografica. Cercai di dissuaderlo, lo feci parlare con gli amici di Rai Cinema, perché si convincesse dell'impossibilità di realizzare un progetto del genere senza adeguati capitali da investire. Per settimane, non ci fu niente da fare. Nel frattempo, in pieno delirio di onnipotenza, provvedeva a martellare di mail un mio amico grafico per la realizzazione (gratis) di un sobrio logo per la società : «Giant», giocando cioè sulle sue iniziali e sul termine inglese «gigante». Chiesi aiuto a Fini per frenare il megalomane. Fece finta di essere disinteressato al problema: «Cinema? Credevo si interessasse di investimenti immobiliari… Se vuole buttare soldi, faccia come gli pare…». Era proprio vero, si interessava, eccome, di investimenti immobiliari.  Lui lo sapeva benissimo. Tulliani insiste e mi chiede di aiutarlo ad accreditarsi al Festival del Cinema di Roma. Lì, finalmente, si rende conto dell'impraticabilità del progetto. Ma non si arrende, anzi raddoppia. La «Giant»  diventa «Giant Entertaiment». Ora l'obiettivo è proprio la Rai: oltre al cinema, intrattenimento e fiction. Gli spiego che non si può fare niente, che esistono regole precise e ci sono file lunghissime di professionisti con ottimi prodotti, tutti in lista d'attesa. La reazione è un misto di arroganza e di isterismo. Alla fine, tanto per usare un eufemismo, lo metto alla porta. Passano pochi giorni e vengo convocato alla Camera. Arrivo nell'anticamera dell'ufficio del Presidente e subito dirottato più su, nell'appartamento privato. Fini mi aspetta con il cognato. Sento subito odore di bruciato e non mi sbaglio. Un po' imbarazzato, Gianfranco mi chiede di aiutare Tulliani ad ottenere dei fatturati minimi garantiti a base di prime serate, fiction e acquisti di film stranieri. Resto basito e ricomincio la spiegazione di come funziona la Rai: iscrizione all'Albo dei fornitori, presentazione di progetti di spettacoli e di soggetti per seriali, mini-serie e movie, proposte d'acquisto o diritto d'antenna per i film. Valutazioni che richiedono tempi lunghi e rendono impossibili sia i cosiddetti «minimi garantiti» che – soprattutto - un volume di fatturato importante per un imprenditore sconosciuto e privo di esperienza. Tulliani non mi fa finire e strilla come un'aquila (chiedo scusa alle aquile). Secondo lui, le mie risposte nascondono la difesa di altri «interessi» e che  non gli  interessano le «briciole». Vorrei mettergli le mani addosso e mi trattengo solo per Gianfranco: per me, è ancora un amico. Mi alzo, prendo l'impermeabile e me ne vado, inseguito invano dai richiami imbarazzati di Fini. Il giorno dopo, gli scrivo una lettera accorata, convinto che abbia capito la «gaffe» che il cognato gli ha fatto fare. Non mi ha mai risposto. Anzi, da quel momento sono diventato un nemico e mi ha danneggiato come ha potuto. Ma né lui, né Tulliani, si sono arresi. Cambiati i vertici Rai, ho ritrovato questo squallido personaggio nelle anticamere di altri alti dirigenti. E alla fine qualcosa è perfino riuscito ad ottenere: le tanto disprezzate «briciole», appunto. Tutto questo, condito di date, nomi, cognomi  e ulteriori dettagli, lo racconterò esattamente tra un anno quando sarò sentito come testimone nella causa civile che lo sfacciato cognato del Presidente della Camera ha intentato contro Panorama. Nella citazione, sostiene di non aver mai avuto niente a che fare con la Rai. Non vedo l'ora di incontrarlo (spero abbia il coraggio di essere presente) e di rispondergli davanti a un giudice.   

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