Veltroni a destra, Frattini a sinistraIn tanti saltano sul carro del Prof
Un obiettivo, Mario Monti, l'ha già raggiunto: la sua disponibilità a fare il bis a Palazzo Chigi in caso di necessità ha spedito i partiti della sua «strana maggioranza» nel caos. Quello più in difficoltà è Pier Luigi Bersani. Il segretario del Pd, infatti, già pregustava una cavalcata trionfale, sull'onda del prevedibile successo alle primarie, verso Palazzo Chigi. Invece adesso rischia di vedersela con il premier, sul quale potrebbe convergere, oltre all'Udc e a Fli («è il premier più idoneo», ribadisce il presidente della Camera, Gianfranco Fini), anche Silvio Berlusconi. Non a caso Bersani, ieri, è tornato a sbarrare la strada a Monti: «È una risorsa del Paese, ma se vuole continuare senza maggioranza politica non è possibile». Basta con le «maggioranze di emergenza, stavolta dobbiamo diventare un Paese normale». Con un governo che «faccia più riforme rispetto a Monti». Eppure anche nel Pd l'ipotesi che Monti resti a Palazzo Chigi piace. Oggi a Roma saranno a convegno i promotori dell'appello affinché anche nella prossima legislatura detti legge l'«agenda Monti». Tra i promotori, ci sono Enrico Morando, Marco Follini, Paolo Gentiloni, Pietro Ichino, Salvatore Vassallo e Stefano Ceccanti. Al gruppo sono vicini, seppure da dietro le quinte, due pezzi da novanta come Walter Veltroni e il vicesegretario Enrico Letta. E ai «montiani» si è aggiunto anche Giuseppe Fioroni, leader dell'ala cattolica del partito, che ieri ha fatto capire a Bersani di dimenticarsi la premiership. E questo perché Monti «potrebbe anche mettersi alla guida di un movimento dei moderati ed allearsi alla grande forza riformatrice del Pd per dare vita a un governo legittimato dal voto». Con il Professore a Palazzo Chigi. «Monti bis in campo, fermiamo le primarie», chiede non a caso il senatore Lucio d'Ubaldo. Acque appena meno agitate nel Pdl, dove la prospettiva del Monti bis non la esclude nemmeno Berlusconi. Del resto la locale «pattuglia montiana», ancorché mediaticamente meno esposta di quella democratica, c'è e si fa sentire. A capeggiarla c'è Franco Frattini. L'ex ministro degli Esteri è stato tra i primi a chiedere al partito di «tenere conto» della disponibilità di Monti. Ieri a lui si sono aggiunti il vicecapogruppo alla Camera Osvaldo Napoli («la disponibilità del premier è una carta preziosa da giocare»), l'ex sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano («la disponibilità di Monti costituisce un dato di rassicurazione per la politica»), e l'ex ministro Gianfranco Rotondi. Apre uno spiraglio anche Mariastella Gelmini, ministro dell'Istruzione, che vede «il Monti bis come extrema ratio». Ovvero, per dirla con Fabrizio Cicchitto, capogruppo a Montecitorio, «nell'ipotesi che nessuno dei due schieramenti vinca, oppure nell'ipotesi che pur vincendo numericamente uno schieramento sia così contraddittorio da non poter svolgere un ruolo di governo». Ecco perché Monti «rimane fermo sulla riva del fiume» ad aspettare. «Montiani» sono pure l'ex ministro Raffaele Fitto, Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera, e Giuliano Cazzola, vicepresidente della commissione Lavoro di Montecitorio. Contrari al Monti bis gli ex An. «Ma per carità, è ora che la politica torni ad assumersi le sue responsabilità», taglia corto Altero Matteoli.