Caso Lavitola, Fini al Cav: "Corruttore". E Silvio lo querela
di Martino Cervo Le coincidenze della vita. La notizia della lettera attribuita a Valter Lavitola e diretta a Silvio Berlusconi raggiunge Gianfranco Fini proprio mentre quest'ultimo è in viaggio per gli studi di La7, dove l'ex leader di An è ospite di Lilli Gruber, a «Otto e mezzo». La missiva viene trovata in un computer sequestrato all'imprenditore Carmelo Pintabona e depositata dai pm Piscitelli e Woodcock tra gli atti del processo che vede il Cavaliere vittima (altro leggero paradosso) di una tentata estorsione. Due sorprese: Fini va in studio, il che non succedeva da un po', e ha una cravatta non inguardabile. L'ospitata dalla Gruber era prevista, ma il programma cambia un pochino di taglio. Parlare di domande nei confronti dell'ex delfino di Almirante è un'indelicata iperbole. La conduttrice giustappone alcune frasi nel profluvio di una vendetta che Fini consuma bollente, sull'onda delle agenzie. In alto, sugli schermi di La7, campeggia un titolo poco dubitativo: «500 mila per distruggere Fini». Il riferimento, forzato oltre ogni limite, è alla cifra che Lavitola avrebbe chiesto, nella lettera depositata dai pm, a Berlusconi come compenso, spiegandosi così: «400/500mila euro (non ricordo) di rimborso spese per la “Casa di Montecarlo”». Come i lettori di Libero forse ricordano, la clamorosa vicenda dell'immobile di Rue Pricesse Charlotte lasciato dalla vedova Colleoni alla fu An e poi entrato nella disponibilità del «cognato» di Fini, Giancarlo Tulliani, ebbe un momento culminante nella rivelazione del documento, pubblicato da Lavitola sull'Avanti!, proveniente dal governo di Saint Lucia, col quale si certificava che l'abitazione era di proprietà di Tulliani. Guerra di querele - Fini usa la missiva scovata dai pm (la cui autenticità è tutta da dimostrare processualmente) come il capo di una madrassa considererebbe le sure del Corano. Ne fa l'arma principe di una battaglia di cui si dichiara vincitore senza possibilità di contraddittorio: «Provo grande soddisfazione perché la verità viene a galla, e disgusto nei confronti di una persona che merita di essere conosciuta per quello che compiutamente è. E non mi riferisco a Lavitola». Sì, parla di Berlusconi. «Oggi sappiamo cosa è accaduto: quel documento fu comperato nello Stato di Santa Lucia, un piccolo paesetto. Non so se la lettera è un tentativo di estorsione, certamente il passaggio che mi riguarda corrisponde a verità. Era tutto organizzato, spero che gli italiani lo capiscano». Quindi, dopo una pausa studiata, la botta: «Berlusconi è un corruttore», scandisce mentre la Gruber guarda col sorriso e gli occhi stretti. Meno di due ore e Bonaiuti annuncia alle agenzie la querela da parte dell'ex premier. Segue concione di Fini su quanto sia impresentabile, brutto, pericoloso, egocrate, il cofondatore del partito cui apparteneva fino a un annetto fa: spetta a Massimo Franco, notista del Corriere, fare le domande scomode (si fa per dire): scusi - è il senso del quesito - ma non se ne era accorto prima, in 17 anni assieme? Fini dice che la fusione Pdl-An è stata un «errore capitale», e fa capire che il problema è che il Cavaliere si era già comprato tutti quanti. Ma lui, dal ditino alzato del 2010, aveva già messo in chiaro tutto, spiega. Le prospettive politiche che dipinge partono dall'assunto che Berlusconi ha compromesso per almeno 20 anni una «certa destra», e dunque gli elettori di quell'area non possono più riferirsi a lui. Piuttosto, è il senso, guardino al centro, a me («Non sciolgo il Fli») e Casini (domani si radunano ad Arezzo coi «Mille») e a chi compone una sorta di Terzo Polo riveduto al servizio del Monti-bis («È lui il premier più idoneo: Bersani è un socialdemocratico conservatore, e l'alternativa non è Berlusconi né Grillo»). La promessa - Ma si torna presto a Lavitola e alla sua lettera. Qui Fini (quest'uomo in tutto ciò è sempre presidente della Camera) scivola su una frase terrificante per un ex ministro e un cosiddetto custode delle istituzioni: «Quella lettera (del governo di Saint Lucia, ndr) mi disgusta e anche se fosse falsa per il 90 per cento, per il 10 per cento è vera. Ma ci avevano avvisati: ho fatto il ministro degli Esteri e qualche amico c'è, anche a livello di intelligence. Ci avevano avvisati che quel documento era falso e Italo Bocchino lo dichiarò in televisione» (ipse dixit). Il coinvolgimento esplicito dei servizi a «difesa» di presunte trappole nei confronti di Fini rappresenta un fronte destinato a strascichi pesantissimi. Fini omette - e la Gruber è lontana dall'incalzarlo - che atti giuridici hanno confermato che l'abitazione era effettivamente di Tulliani (fatto al quale aveva collegato le sue dimissioni, mai avvenute): questo a prescindere da eventuali falsi prodotti da Lavitola o eventualmente attribuibili a Berlusconi. Ma in chiusura c'è spazio per la mozione dei sentimenti: l'ansia di andare dalla moglie Elisabetta a condividere la gioia per la verità ristabilita. E la considerazione che il direttore del Giornale «Sallusti non può e non deve andare in carcere... ma si ricorda da dov'è partita la trasmissione?». Il resto dell'amore per la libertà di stampa è qui a fianco. In serata qualcuno del Pdl scatta in difesa del Cav, regalando la sensazione di straniamento temporale, altrimenti detta: due anni buttati nel cesso.