Libero scrive quanto incassa Fini e lui ci querela
di Franco Bechis Gianfranco Fini ci ha citato in tribunale per avere rivelato l'entità del suo stipendio da presidente della Camera. Il 12 agosto scorso abbiamo pubblicato il suo netto mensile - ridotto in conseguenza dei tagli degli ultimi anni - che ammonta a 15.114 euro netti, superando di poco nella classifica della politica quelli di Roberto Formigoni, governatore della Lombardia e quello di Nichi Vendola, governatore della Puglia. Ripubblicandolo per dovere di cronaca ci prenderemo naturalmente un'altra causa dal presidente di Montecitorio. Non cambia molto: ha appena fatto arrivare a Libero una citazione danni che parte da una base minima di 500 mila euro rivolta a 11 giornalisti, in testa il direttore Maurizio Belpietro (gli vengono contestati sette commenti, siccome a me ne vengono contestati cinque con questo che sto scrivendo quasi quasi lo raggiungo). Quella cifra sui conti di Libero sarebbe una mazzata, per Fini si capisce è poca cosa: meno di tre anni di stipendio netto. Manco l'intera prossima legislatura, che rischia di non fare perché il suo partitino nei sondaggi rischia - e di molto - di non raggiungere il quorum necessario. Nella sua supercausa che materialmente è scritta dal legale di fiducia di Fini e della sua compagna Elisabetta Tulliani, l'avvocato Giuseppe Consolo, c'è un po' di tutto. Reagisce così a Libero che quest'estate l'ha pizzicato con la scorta che - per soli 80 mila euro spesi dal contribuente - aveva requisito un resort da luglio a settembre per proteggerlo caso mai facesse una scampagnata da quelle parti. Ma tra i piatti forti e stupefacenti della causa c'è proprio il classico «giù le mani dal mio stipendio». Averne rivelato l'ammontare in tempi in cui tutti - presidente della Camera in testa - parlano di trasparenza dei costi della politica è invece secondo Fini «una chiara ed evidente violazione del codice della privacy commessa da Libero, il quale non si sottrae alla tentazione di pubblicare dati peraltro sensibili relativi agli emolumenti legittimamente percepiti dall'odierno attore, seppure consapevole dell'illecito commesso ai danni del presidente della Camera». Insomma, dal 2008 ad oggi Fini ha perfino lodato campagne di stampa sulla riduzione dei costi della politica, ha fatto pubblicare sul sito Internet della Camera tutte le indennità dei deputati, i rimborsi, la diaria di soggiorno, e così via. Ha pure detto loro che dovevano stringere la cinghia, facendo bei discorsi. Per rivelare il suo stipendio netto sono stati usati peraltro proprio i dati pubblicati sul sito Internet della Camera, aggiungendovi l'unico che non è mai stato reso pubblico: l'indennità di funzione del presidente della Camera. C'è voluto un bel po' per conoscerla e naturalmente la collaborazione di una fonte interna all'amministrazione. D'altra parte era difficile spiegare all'opinione pubblica e perfino al palazzo che alla Camera dei deputati dovevano essere messi in piazza 629 stipendi e uno solo restare segreto: quello di Fini. In tutto il mondo sono i leader che per primi danno il buon esempio. Mettono on line tutto il loro stipendio, perfino i rimborsi spese goduti. Pubblicano la dichiarazione patrimoniale propria e dei familiari conviventi. Tutto questo non è accaduto con Fini. Noi abbiamo provato a dargli una mano, rendendo trasparente come deve essere quello che non lo era. E lui come ci ringrazia? Facendoci causa e lamentando addirittura una violazione del Codice della privacy sulla sua situazione patrimoniale. Forse Fini e i suoi avvocati non sanno che in nessun paese del mondo è protetta la privacy patrimoniale di un leader politico. Ed è evidente perché: presidente della Camera non si diventa per meriti di carriera, ma perché si è nominati da altri eletti dal voto degli italiani. La busta paga come ogni benefit di cui si gode non è a spese di qualche amico generoso: la pagano i contribuenti italiani, che hanno almeno il diritto di sapere a quanto ammonta e come viene utilizzata. Se Fini avesse frequentato davvero - visto che sembra piacergli - Mario Monti, avrebbe potuto imparare che cosa è la trasparenza patrimoniale, aspetto su cui il premier è stato impeccabile. Nella ciclopica causa intentata a Libero (che ha anche passaggi divertenti, come la replica puntuta e indispettita a un articolo di satira di Selvaggia Lucarelli, vedasi racconto di Mattias Mainiero) in un momento assai delicato per la libertà di stampa, Fini si lamenta di ogni altra notizia che riguarda il suo tenore di vita. Anche delle notizie sugli investimenti e ristrutturazioni immobiliari, che hanno valore patrimoniale come tutte le altre. Anche in questo caso si invoca il codice della privacy assai impropriamente: si contano sulle dita di una mano i politici che hanno fatto ricorso in casi analoghi in questi lustri. E tutte le decisioni del Garante della privacy fin qui adottate hanno rilevato come il diritto alla trasparenza dei cittadini attenui sempre il diritto alla privacy di un uomo politico, ridotto rispetto a quello di chiunque altro addirittura su questioni di salute o su abitudini sessuali, figurarsi su dati patrimoniali che la stessa legge impone di rendere pubblici. È significativo però che un leader politico di lungo corso si metta ad invocare la privacy sul proprio stipendio in pieno scandalo del Lazio con il caso di Franco Fiorito (cresciuto proprio alla corte di Fini) appena esploso. È il segno che si è perso il senso della realtà, e non si riesce a cogliere nemmeno la giusta e profonda rabbia dei cittadini, ritenendo più rilevante la protezione del proprio status di mandarino che nessuno deve controllare e discutere.