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Fini, la scorta, Battista, Mieli: così è fallito il sogno dei terzisti

Sul Corriere Pigi si ostina a difendere Gianfranco. Ma il progetto super partes è naufragato, condannando lui, Gianfry e l'ex direttore all'ininfluenza

Giulio Bucchi
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di Francesco Borgonovo   Per quale motivo Pierluigi Battista si ostina a difendere, dalle pagine del Corriere della Sera, Gianfranco Fini? Chissà, forse per via di uno strano sentimento di solidarietà tra terzisti falliti o in fallimento. Giusto ieri il capoccia di Fli dichiarava: «Contribuiremo a rendere possibile un'alternativa di governo liberale riformatrice e democratica rispetto al tradizionale confronto tra Berlusconi e Lega da una parte e Bersani e Vendola dall'altra», rimarcando così la passione per le ardite evoluzioni che l'ha condotto - a furia d'ondeggiare fra destra a sinistra - a non essere né carne né pesce bensì un'insipida zuppetta da due per cento.  Ma non è che le sorti degli  equilibristi della carta stampata siano più fulgide. E bisogna notare  che il loro progetto di riforma della cultura e della politica italiane, tra un equilibrismo e l'altro, è precipitato dal filo. Oggi che, con il governo apparentemente super partes dei tecnici, le aspirazioni dei terzisti sembrerebbero essersi realizzate, la loro influenza sul dibattito pubblico è praticamente nulla. La corrente di pensiero plasmata da Paolo Mieli, di cui Battista è stato il più organico interprete, nella foga di mantenersi lontana dalle ideologie ed  equidistante nella lotta fra berlusconiani e antiberlusconiani, ha finito col perdere di vista l'obiettivo principale: instillare un po' di buonsenso nel mondo intellettuale italico. Ed è un peccato, perché le premesse erano buone.  Battista, per dire, qualche libro  interessante lo ha scritto. In Cancellare le tracce se la prendeva con quegli scrittori, artisti e giornalisti che han fatto di tutto per nascondere il proprio passato al servizio dei regimi. Bella idea, parecchio utile in un Paese che non riesce ancora a liberarsi dell'antifascismo militante. Però un fuoriclasse come Pietrangelo Buttafuoco l'ha definitivamente sdoganato la Repubblica dell'azionista Ezio Mauro, mica il Corriere di Mieli e Battista. Forse i due temevano d'esser tacciati di fascisteria. Allo stesso modo si sono persi per strada una penna acuminata come Francesco Merlo, un tempo star di via Solferino, oggi protagonista in versione caterpillar militante  sul giornale fondato da Scalfari.   Battista ha prodotto un altro volume che su queste pagine abbiamo celebrato, I conformisti. L'estinzione degli intellettuali d'Italia. Ennesima bella staffilata ai parrucconi nostrani, profeti del nulla che riciclano luoghi comuni progressisti. Peccato che, alla fine, si sia avviato all'estinzione anche Battista medesimo, che non è neppure riuscito a far vendere qualche copia all'ultimo scialbo romanzo di Alessandro Piperno, nonostante costui avesse vinto il premio Strega e Pigi gli avesse dedicato elogi sperticate nelle sue rubriche.       Non è un caso se il direttore di Repubblica - giornale intriso di ideologia, ma con un suo peso specifico - risponde alle provocazioni di Giuliano Ferrara sul Foglio, non certo a quelle dell'editorialista del Corriere. Non è un caso se sono giornali di più ridotte dimensioni come Libero o il Fatto a smuovere le acque  con le proprie campagne, politiche e culturali. Del blocco di pensiero terzista, invece, nemmeno l'ombra. Quale alternativa hanno sfornato in risposta all'antiberlusconismo sfegatato dei republicones, al moloch sabaudo-azionista o alle collane editoriali in cui il travaglismo la fa da padrone a suon di copie vendute? Eppure i mezzi e il potere non sono certo mancati.  Quale fondamentale contributo alla produzione di idee hanno dato, a conti fatti, se hanno perso persino l'egemonia sui dibattiti libreschi di Capalbio e sull'ormai estinta CortinaIncontra? Forse le sterminate articolesse di Paolo Mieli, asserragliato nella ridotta delle pagine culturali del Corriere a vergare miliardi di battute che solo pochi impavidi si sorbiranno integralmente? Tanto varrebbe mandarle nei salotti romani tramite apposita mailing list, e chi ha coraggio si faccia sotto.   Forse è questo il destino di chi sta con la destra ma anche un po' con la sinistra e perché no con il centro; con i liberali e con i socialisti; con Berlusconi ma anche contro. A lungo andare, l'equidistanza si tramuta in semplice e desolante distanza dai luoghi che contano, cioè quelli in cui si formula qualche pensiero degno di nota.  È un po' la stessa cosa accaduta a Gianfranco Fini. Repubblica lo ha coccolato, illuso e gettato via. I terzisti (eterni secondi) hanno addirittura pensato di orientarlo, di farne un grande statista. Ricordiamo, per dire, il poderoso saggio firmato dal leader di Fli qualche anno fa. Lo pubblicava la Rizzoli al cui vertice sedeva Paolo Mieli  e le malelingue insinuavano che fosse stato Mieli in persona a tratteggiarne le linee generali. Si intitolava Il futuro della libertà. Consigli non richiesti ai nati nel 1989. Aveva un che di profetico, quel titolo, poiché nel frattempo il non richiesto è diventato il subacqueo Gianfranco. Uno che ha la passione di immergersi e recuperare relitti: magari, dopo l'ancora, potrebbe aver la fortuna di pescare dai fondali pure un terzista.          

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