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Sì al fiscal compact: è una gogna fiscale e il Pdl finisce in mille pezzi

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Il voto alla Camera lascia gli azzurri spaccati. In 43 si astengono, in 5 votano contro. A Montecitorio rischiava di venire giù tutto

Giulio Bucchi
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Per poco non veniva giù tutto ieri a Montecitorio. In primis, il governo tecnico. Mario Monti, infatti, ha giurato fedeltà all'Europa sul Fiscal compact. Ma la bibbia del Patto di bilancio ieri è passata per un pelo alla Camera, con una maggioranza risicatissima: appena 368. Su 630 deputati hanno votato in 433. Tra i 65 astenuti  e i 65 voti contrari ci sono Lega, Idv e un pezzo consistente del Pdl. Che avrà anche fatto ballare parecchio Palazzo Chigi, ma è uscito da questa votazione con le ossa rotte. I tabulati sono la radiografia del centrodestra, mai così spaccato: cinque deputati hanno votato contro, 43 si sono astenuti e 55 non erano presenti in aula, di cui solo 12 giustificati perché in missione.  I cinque pidiellini che hanno votato contro il Patto di stabilità sono Viviana Beccalossi, Guido Crosetto, Antonino Foti, Agostino Ghiglia e Lino Miserotti. I 43 deputati del Pdl che invece hanno scelto una forma più blanda di ostruzionismo contro la politica del rigore targata Monti, decidendo di non partecipare alla votazione, formano un gruppo trasversale che va dagli ex An Ignazio La Russa, Giorgia Meloni, Massimo Corsaro, Barbara Saltamartini, Mario Landolfi, agli azzurri Denis Verdini, Micaela Bergamini, Pietro Lunardi, Amedeo Laboccetta. Ieri nel Pdl spiccavano prima di tutto gli scranni vuoti dei big del partito: il leader nonché ricandidato premier Silvio Berlusconi e il segretario Angelino Alfano. Ma non sono stati gli unici “grandi elettori” a marcare visita a Montecitorio. In effetti, non è passata inosservata l'assenza di tutti i numeri uno di questa strana maggioranza. Mancavano all'appello anche il capo del Pd, Pier Luigi Bersani e quello dell'Udc, Pier Ferdinando Casini. In pratica, nessuno dei leader delle forze che sostengono il governo ha votato la ratifica del Fiscal compact alla Camera.  Tornando al Pdl, trasversale agli ex An e agli ex forzisti anche la falange degli astenuti. Risultato: solo 105 dei 209 deputati hanno votato il Fiscal compact e tra questi non c'erano il Cav e Alfano. Alla faccia dell'appoggio giurato e rigiurato, anche di recente, al governo Monti. Ma chi ne ha riportato più danni non è l'esecutivo tecnico, bensì il partito di Berlusconi. Bastava dare un'occhiata allo schermo della votazione per farsene un'idea.  Il tabellone elettronico che ha registrato la votazione dell'aula sul Fiscal compact, ala Pdl, sembrava la bandiera dell'Italia: bianco di astensione, rosso di “no” e verde di voti a favore del provvedimento. Il Trattato sulla stabilità ha fatto esplodere tutte le contraddizioni che fermentano nel Pdl sotto l'occhio spietato delle telecamere. Già, perché i parlamentari in aperto disaccordo non hanno avuto neanche l'accortezza di uscire dall'aula per azzuffarsi, ma hanno improvvisato proprio tra gli scranni una riunione a dir poco accesa che non è sfuggita agli operatori. Molti sono andati a lamentarsi direttamente dal capogruppo, Fabrizio Cicchitto, del fatto che non si sia deciso di convocare prima una riunione di gruppo per stabilire una linea comune a fronte di tanti mal di pancia suscitati dal provvedimento. La spaccatura, quindi, era inevitabile sul voto. A gettare benzina sul fuoco sono stati i dissidenti che hanno votato contro il Patto di bilancio. Il baricentro del terremoto che ha provocato crepe profonde nel principale gruppo della Camera va individuato nell'area ex An: più della metà non ha appoggiato il provvedimento. Che la frattura si ricomponga o no è tutto da vedere. Ma di certo, d'ora in poi, sarà molto più difficile per Berlusconi garantire il suo sostegno a Monti.  di Barbara Romano

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