Mughini: Dio salvi l'Italia dagli ultrà pro o contro Berlusconi
Il Cav ha annunciato la sua candidatura è già si scatena la rissa permanente. Proprio quando avremmo bisogno di una grande coalizione per uscire dal guado
di Giampiero Mughini L'ultimissima cosa di cui l'Italia targata 2012-2013 ha bisogno è un ennesimo referendum pro o contro Silvio Berlusconi. Eppure esattamente questo succederebbe nel caso di una prossima contesa elettorale dove Berlusconi fosse nuovamente in prima fila a rappresentare le ragioni e gli umori del centro-destra, o di quello che ne resta. Nell'avere riproposto orgogliosamente la sua leadership, Berlusconi ha forse in mente l'appuntamento elettorale del 2006 quando i sondaggi pre-elettorali davano debordante la vittoria dello schieramento di centro-sinistra guidato da Romano Prodi e invece lui si gettò a capofitto nella mischia, spese per intero il suo carisma (all'epoca ancora notevole) e perdette le elezioni di una manciata appena di voti. Tanto che quella di Prodi non fu una vera vittoria al punto da issare bandiera bianca e tirarsi indietro già nel 2008. Quando Berlusconi stradominò il nuovo appuntamento elettorale. Ora, il punto è proprio questo: che tra l'Italia di oggi e l'Italia del 2006-2008 non c'è alcuna parentela possibile. Niente di niente in comune. A cominciare da una situazione economica diversissima da quella del 2006-2008 che ci rende tutti lividi, e siamo solo un passo o un passo e mezzo meglio della Spagna dove stanno facendo a botte per strada a causa del mancato pagamento delle tredicesime. Dividerci ancora e scontrarci frontalmente tra berlusconiani e antiberlusconiani? In nome di Dio, ci venga risparmiato e venga risparmiato al nostro spread. È un vizio o un lusso che non possiamo più permetterci. È stato il morbo della Seconda Repubblica, nata male e continuata peggio e finita ancor peggio. Una stagione politica dove a comandare era il “no” all'avversario, il ”morte tua vita mia”, il dargli addosso a tutti i modi anche a costo di colpire sotto la cintura, e non sto qui a dire se era colpa più degli uni che degli altri. A dir questo ci penseranno gli storici. Il risultato di questo scontro furibondo durato vent'anni lo tastiamo ogni giorno. I “fondamentali” economici del Paese saltati in aria. Un debito pubblico che galoppa oltre il 120 per cento del prodotto nazionale lordo. Una feroce e testarda speculazione internazionale che si avventa contro un Paese la cui identità morale e le cui prospettive politiche barcollano alla maniera di un pugile stordito dalla gragnuola di colpi che ha incassato. Le due coalizioni politiche che avrebbero dovuto giustificare il “bipartitismo”, ossia la riduzione all'essenziale dello scontro politico, sfrantumate entrambe in una miriade di correnti, sottoculture e leaderini tanto ambiziosi quanto impotenti. E quanto alla coalizione di centro-destra, non ne vedo più traccia. Dov'è che Berlusconi pensa di attingere i voti che gli daranno il primato? Di An e del suo mondo politico non ci sono più notizie. Per quel che è della Lega e del suo nuovo segretario Roberto Maroni, la sua attuale mossa più visibile è quella di bestemmiare contro l'Imu e eccitare a non pagarla. Una parte dell'elettorato naturale del centro-destra è già emigrato verso la protesta più rabbiosa alla maniera di quella di Beppe Grillo e non so se tornerà perché alla testa del Pdl ci sarà anche una donna. Purtroppo sulla scena politica italiana di donne simil-Margaret Thatcher non se ne vedono. Se non è un disastro questo. Non che dalle parti della sinistra o meglio delle sinistre, le cose vadano meglio. È un mondo dove i linguaggi e le identità si sono fatti i più contraddittori tra loro. Come mettere d'accordo il Mario Monti cui Pier Luigi Bersani continua a dare il suo appoggio e quel sindacato Cgil tetragono nei suoi “no”, anche i più arcaici? E nello stesso Pd che cos'hanno in comune Stefano Fassina, l'acre responsabile della sezione “Economia e lavoro”, con il sindaco di Firenze Matteo Renzi o con Umberto Ranieri e gli altri parlamentari del Pd che hanno firmato una lettera in cui invitano il loro partito a prolungare l'appoggio a Monti anche oltre la fine naturale di questa legislatura? E poi c'è che il Pd da solo supera di poco il 25 per cento dei consensi. E allora che fa, invita a cena Nichi Vendola o Antonio Di Pietro o Beppe Grillo o i No Tav, o tutti loro messi assieme? Ve lo immaginate un governo-macchina da guerra che raduni tutte queste componenti della politica italiana? In nome di Dio, ci venga risparmiato. Epperò se Berlusconi scende in campo, quelli dimenticano tutto ciò che (abissalmente) li separa e li divide e si stringono assieme come in una “mischia” del rugby. E dunque? È indispensabile andare oltre i teoremi e le latitudini della Seconda Repubblica. Quei recinti si sono sfaldati e non c'è nenia che li riporterà alla vita. Tutti i partiti e rispettivi leader devono fare un passo indietro e un passo di lato. In un'Italia stremata al punto in cui lo è, l'unica strada percorribile è quella di un governo e di una proposta politica sostenuta da una coalizione la più ampia e la più originale rispetto al passato. Non certo quella di proporre un bis, come si fa a teatro e mentre il pubblico in sala rumoreggia e invoca. Perché noi italiani non siamo a teatro ma all'inferno.