L'attacco dei comunisti per riprendersi il Pd
Le bordate a Renzi arrivano dai duri e puri del partito che sperano in una riedizione del passato
Se Stefano Fassina carica a testa bassa Matteo Renzi, dirigente cattolico del suo stesso partito e sindaco di Firenze, liquidandolo come “ex portaborse”, si può sorriderne: è un segno dell' “unità” del Pd che – tornato al governo – sarà di nuovo dilaniato dalle divisioni, al suo interno e pure con gli “alleati” (non a caso Vendola ha appena dichiarato che “l'alleanza col Pd non è scontata” e Di Pietro è già fuori). Ma se, nella stessa intervista, lo stesso Fassina dichiara addirittura di nutrire nostalgia del vecchio Pci e di Berlinguer e poi evoca contro Renzi una condanna politica che ricorda quasi (lo dico come battuta) le vecchie scomuniche del Pci per deviazionismo, allora c'è molto di più. Ha infatti tuonato che Renzi “ripete a pappagallo alcune ricette della destra”. Cosa sta accadendo dentro il Pd? E' solo un episodio di quella “liquidazione dei cattolici in corso da tempo” come scrive Massimo Micucci su “Gli Altri” insieme ai “conflitti tra prodiani, bersaniani e nonsocosa”? Vediamo. Fassina non è uno qualsiasi: è il responsabile economico del Pd, l'importante braccio destro di Bersani, uno di quei “giovani turchi”, come Matteo Orfini, che rappresentano la linea gauchista in rotta di collisione con l'anima moderata. Fassina tempo fa ha attaccato duramente anche il governo Monti. Ieri è stato criticato dallo stesso Stefano Menichini, direttore di “Europa”, giornale del Pd, secondo cui il convegno della sua corrente, che si chiama “Rifare l'Italia” e che sostiene Bersani alle primarie, ha proposto una “rifondazione dei partiti” avversa a “blairismi e prodismi”. Operazione che riporterebbe al “patto dei produttori di quarant'anni fa”, cioè al Pci. La “novità”, dice Menichini, è “la dichiarata volontà di quest'area di smarcarsi dal ‘patto di sindacato' (lo chiamano così) che regge il Pd”, cioè il patto “ulivista” fra sinistra post-comunista e cattolici democratici. Alla corrente di Fassina e Orfini, osserva Menichini, se ne aggiungono altre, una filo-Monti e “una cattolica di rito fioroniano”, che sostengono pure loro Bersani, ma su posizioni opposte alla prima. Poi c'è quella che sostiene Renzi alle primarie e altre ancora. Conclusione: è già una babele. Ma con un tema (il ritorno del Pci, la rottura con i democristiani) che torna, è nell'aria, sia a livello locale (basti pensare al terremoto del Pd toscano con le dimissioni del sindaco di Siena); sia a livello nazionale dove Renzi già annuncia che, se vincerà le primarie, applicherà il limite di tre mandati parlamentari previsto dallo Statuto del Pd, regola a cui finora hanno derogato. Ieri Maria Teresa Meli, sul “Corriere”, rivelava che l'intera vecchia leadership verrebbe archiviata: Massimo D'Alema (sette legislature), Anna Finocchiaro (sette), Walter Veltroni (sei), lo stesso Bersani ne avrebbe già tre e poi Franco Marini (sei) e Rosy Bindi (cinque). Potrebbe essere considerato un suicidio, perché una classe dirigente non si improvvisa in un giorno. Non a caso la vecchia guardia del Pci, sia toscano che nazionale, è così ostile a Renzi. Ma potrebbe anche essere una rivoluzione. D'altra parte a vincere le primarie e a candidarsi a palazzo Chigi sarà, quasi sicuramente, Pierluigi Bersani che era un dirigente del Pci già negli anni Ottanta. E per tutte queste situazioni – combinate con la presidenza della Repubblica di un antico dirigente del Pci di Togliatti, come Giorgio Napolitano (presidenza molto decisiva sulla politica nazionale) – si sta tornando a parlare dell'incombente “problema Pci” sull'Italia del 2012. Ma attenzione: la novità è che stavolta a parlarne non è più Berlusconi (uscito di scena?) o il centrodestra. Il problema comincia a porsi nel centrosinistra, per i moderati del Pd (non solo Renzi) e perfino a sinistra del Pd. Clamorosa, in questo senso, è la copertina del settimanale “Gli Altri” uscito ieri in edicola. Titolo: “Aiuto! Ritorna il Pci…”. Ancora più clamoroso è lo “strillo” della copertina: “Non c'è niente da fare, da quella storia non si schioda. Storia gloriosa e catastrofica, quella del Partito Comunista italiano, da cui i suoi tanti eredi faticano a emanciparsi. I leader politici del centrosinistra di oggi, malgrado prese di distanza ufficiali, continuano a scimmiottare i rituali di Botteghe Oscure, ad emulare i molti vizi e le poche virtù dei padri nobili del Pci. Cosa nasconde l'esaltazione di quei miti – Berlinguer su tutti – che sono stati anche gli affossatori del destino della sinistra?”. E' significativo che parole simili stiano sulla copertina di un settimanale di sinistra diretto da Piero Sansonetti, che certamente è un'intelligenza libera e originale (ammirevole, ad esempio, il suo ferreo garantismo), ma che è sicuramente un intellettuale di sinistra. Sansonetti è stato vicedirettore e condirettore dell' “Unità” con Veltroni ed è stato, più recentemente, direttore di “Liberazione”, il giornale di Rifondazione comunista (pur non essendo iscritto a quel partito). Lui e il suo settimanale sono voci che si collocano nell'area dei movimenti e, sia pure criticamente, della sinistra vendolian-bertinottiana. La “sparata” di questo numero nasce da un acceso dibattito che è scoppiato su internet in seguito a una nota critica di Sansonetti su Berlinguer. Il pezzo forte del giornale è l'articolo di Andrea Colombo che già nell'incipit è micidiale: “Annusate l'aria, è un olezzo ancora vago ma già inconfondibile. La carta coperta che la sinistra italiana si appresta a giocare per gli anni a venire ha un aspetto antico: quello del Partito comunista italiano”. Colombo prosegue: “Cos'ha in mente oggi il segretario Bersani se non una versione appena ridipinta del Pci? C'è davvero qualche differenza tra la logica che guida oggi il nocchiero della nazione, che si chiama Giorgio e non Mario, e quella che lo guidava 35 anni fa come responsabile della politica economica comunista? Siamo proprio sicuri che, a esaminarla da vicino, la nuova sinistra perseguita dalla narrazione vendoliana non riveli parentele strette con quella meno nuova di zio Enrico e nonno Palmiro?”. Ma è soprattutto il Pd, secondo Colombo, che fa trasparire il fantasma del Pci. Per esempio, “vengono dal Pci la visione della politica come gioco di vertice che ha costellato il ventennio recente, la diffidenza nei confronti del popolo e della democrazia che ha trovato una compiuta espressione in Giorgio Napolitano e nel governo Monti, la tendenza ad appropriarsi delle politiche dell'avversario nella speranza di averne così ragione” e poi “l'abitudine a mascherare i propri pur legittimi interessi di partito con la retorica stentorea dell'interesse generale, il primato del funzionariato, la convinzione che un gruppo dirigente sia per definizione eterno”. Colombo va pure alla radice di questa situazione, perché – afferma - quando crollò il Muro e si cambiò nome “a essere presi di mira furono gli sbagli del comunismo, non quelli del Partito comunista”, cosicché si presero le distanze da Stalin, ma non da Berlinguer. Ovviamente questi giudizi si possono discutere (personalmente non concordo con alcuni di essi). Ma la novità resta. E probabilmente farà strada. Speriamo solo che faccia discutere il centrosinistra e non si degradi a banale argomento di propaganda elettorale del centrodestra, che sarebbe la solita minestra riscaldata. Post scriptum. E' circolata la barzelletta di qualcuno dell'area Pdl che avrebbe avuto la geniale idea di candidare Renzi per il centrodestra. Che è come consigliare alla propria squadra di fare autogol per poter dire di aver vinto. Dicono che la “boutade” può essere servita a chi nel centrodestra voleva colpire Renzi e favorire Bersani nelle primarie, perché il post-comunista Pierluigi è meno temibile come concorrente. Non lo so. Tutto questo mi pare ridicolo. di Antonio Socci www.antoniosocci.com