L'ultima idea del Cavaliere:vuole il giovane Benetton
Berlusconi pensa all'imprenditore come erede politico. Poi giura ai suoi: "No, non voglio fare un nuovo partito"
La durata degli interventi è di tre minuti...». Si leva il boato di protesta degli ex An. «...d'accordo allora facciamo quattro minuti». Silvio Berlusconi prova ad arginare l'onda oratoria che si sta per abbattere a via del Plebiscito. Fatica sprecata: c'è l'ufficio di presidenza e tutti i dirigenti del Pdl vogliono dire la loro senza stare a guardare l'orologio. Sicché il Cavaliere si sorbisce queste quattro ore infinite di sfogatoio e, ciononostante, va via come era arrivato: convinto del fatto suo. Nessuno ha trovato un'argomentazione capace di fare breccia oppure Silvio era troppo distratto a leggere i report sulle testimonianze delle ospiti alle cene di Arcore: le ragazze stanno sfilando in procura a Milano nelle stesse ore in cui è riunita la cupola del Pdl. Caparbietà o distrazione, l'ex premier rimane sulla sua posizione: giura che «assolutamente no, non sto pensando a un nuovo partito», non sono vere «le ricostruzioni» fatte dalla stampa, anche quella di area che «fa più male a noi che agli altri». Però... Però Berlusconi non dice no alle liste di appoggio. Anzi: «Se Vittorio Sgarbi, Luca Cordero di Montezemolo e Guido Bertolaso si facessero fautori di liste, come farei io a dire di no all'alleanza con loro?». Ora, tolto l'ex presidente della Ferrari, è chiaro a tutti chi sia l'ispiratore delle liste di Sgarbi e Bertolaso (che si materializza a Palazzo Grazioli a fine riunione), eppure nessuno dei colonnelli ha il coraggio di fiatare. Giusto Ignazio La Russa prova a protestare: «Presidente, in alcuni casi sembri vestire i panni dell'allenatore di altre squadre che giocano in altri campionati...». «No, io gioco in questa squadra», la risposta secca. Poi una battuta di Maurizio Gasparri stempera la tensione. Il Pdl spacchettato in liste di quarantenni, di ultradestra, di animalisti: «Io ho più di 45 anni, sono di destra e ho un cane: in quale lista vado?». Risate. È forse l'unico momento di ilarità del vertice. Introdotto da una relazione del leader: «Secondo i sondaggi l'elettorato del Pdl si divide così: il 36 per cento vota ancora per noi, il 56 si astiene, il 10 vota altri partiti». La colpa della flessione siede a Palazzo Chigi: «Il 74 per cento degli elettori non condivide l'appoggio che diamo a Monti, siamo passati dal 27 per cento al 20». Nulla è perduto, però: «I nostri sostenitori vogliono tornare a votarci se presentiamo un programma forte e costruttivo». Ma anche una leadership accattivante. Berlusconi deve ricostruire da zero la coalizione (al momento formata da Pdl e dalle nascenti liste civiche) e vuole strutturarla intorno a un nome nuovo, giovane, estraneo alla politica. Allo scopo Silvio avrebbe contattato anche il manager Alessandro Benetton, rampollo dell'omonima famiglia. Nulla si sa circa la risposta. Mentre si occupa di rimettere in piedi la casa moderata, il Cavaliere non vuole che gli si sbricioli il partito tra le mani. Perciò si è raccomandato con tutti («Non possiamo regalare l'Italia alla sinistra»), ma soprattutto con gli ex An, che minacciano di mettersi in proprio ricostrituendo il vecchio partito: «Conosciamo l'esperienza di chi ha lasciato la casa madre e si è perso nel nulla», ha detto riferendosi a Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini. di Salvatore Dama