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Il Pd vuol far cadere MontiBersani: "Farò il premier"

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Il segretario accelera sul voto a ottobre: "Capo del governo tocca a noi". E avvisa l'esecutivo tecnico: "Non staremo più zitti"

Eliana Giusto
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Se già prima delle amministrative Il Pd aveva lasciato intendere di pensare a un voto anticipato a ottobre, il risultato delle elezioni dello scorso settimana non può che aver rafforzato la tentazione all'interno del maggior partito di centrosinistra. E non tanto per chissà quale vittoria (che non c'è stata) ma per la condizione di estrema debolezza (tanto in termini di consensi che in termini di coesione) del Pdl e della Lega. In un'intervista a Repubblica il segretario Pierluigi Bersani non si nasconde e lancia due messaggi: uno ai potenziali alleati e uno a Monti. Avverte chi correrà con lui che "il candidato premier spetta al Pd, saremo noi a proporre un nome. Non per metterci al comando ma per rendere un servizio e guidare questa fase. Il guidatore lo dobbiamo scegliere noi". E avverte il presidente del Consiglio: "Abbiamo scarpinato per l'Italia e c'è una situazione acutissima di sofferenza. Al governo ribadisco lealtà, ho una sola parola. Ma dico: attenzione. Il voto dimostra che nel Paese ci siamo dappertutto. Allora ascoltateci.  Monti deve insistere sulla mini golden rule per sbloccare investimenti. E occorre affrontare subito il tema dei pagamenti alle imprese per far arrivare un bel po' di miliardi di liquidità nel giro di poche settimane. Infine va risolta l'ingiustizia intollerabile degli esodati. I democratici, annuncia, «non staranno zitti di fronte al governo". Bersani sa che bisogna stringere i tempi: solo votando a ottobre, con il Pdl ai minimi termini, il maggior partito della sinistra può sperare di vincere. Tenuto conto che anche i suoi "alleati" dell'Idv e di Sel si sono visti rifilare un bello schiaffone da Grillo. Ed è per questo che da un po' non lo si sente più parlare di riforma della legge elettorale. Con il "porcellum", il Pd farebbe man bassa di voti, al punto da non avere bisogno di dipietristi e centristi. Staccare la spina richiederà però tempismo e una buona giustificazione. Una buona ragione prova a fornirla al Pd Nichi Vendola, leader di Sel: «Ogni giorno che passa si aggrava la crisi sociale e democratica, e si acuisce la distanza tra società e politica. Diciamolo pure: il sostegno a Monti è stato piombo nelle ali per il centrosinistra nelle urne e il tempo che passa è un regalo all'antipolitica». Il messaggio del governatore della Puglia è chiaro: da qui a ottobre Grillo può essere tenuto a bada e contenuto. Dopo chissà. Antonio Di Pietro, da parte sua, non vede l'ora. Oggi più di ieri, visto il crollo elettorale dello scorso fine settimana, in cui l'Idv (Orlando a parte) ha perso la metà dei voti. Massimo D'Alema, da parte sua, sta aprendo un'altra strada, invitando dalle pagine del Messaggero Casini e il suo Udc a stringere un patto elettorale col Pd. I democratici, in cambio, offrirebbero lo sganciamento dall'Idv. I prossimi segnali arriveranno al governo sulla Spending review: il Pd dirà no ai tagli al comparto-scuola, tradizionalmente suo bacino elettorale. Quindi chiederà «qualche segnale per aiutare lavoratori e famiglie», eventualmente forzando, mettendo così a rischio il governo, sulla patrimoniale. Intanto, però, ci sono ancora i ballottaggi da vincere. E Bersani, curiosamente, dà la linea ai suoi: «Nessuna demonizzazione dei grillini. Cerchiamo di separare i toni populistici dai punti di merito. Lì si può convergere con il Movimento 5 Stelle».    

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