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Buttafuoco: l'amore ai tempi dell'alienazione tecnologica
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Materia ostica è la letteratura, quando si palesa è incandescente ed ecco dunque Viola, scritture dal nulla di Vincenzo Profeta, un romanzo pubblicato da GOG Edizioni che è come dire edito direttamente dalla forgia di Efesto, nei visceri di un vulcano inesauribile di lava, lapilli e vampe.
Il libro non è ovviamente un manufatto di narrativa per mascherine, non rispetta il codice delle fattucchiere della società degli acculturati e si presenta come un esperimento letterario che fonde narrazione e frammentazione testuale, portando il lettore in un labirinto di parole e immagini che riflettono il disorientamento del’epoca digitale, e la ricerca dell’amore.
Un più che esperimento, vorremmo segnalare, perché il suo autore - Profeta, nomen omen – reitera nella sua Palermo la fiammeggiante foresta di sensi tutti significanti che negli anni ’50 del secolo scorso Antonio Pizzuto, un genio totale, ebbe a far gemmare consegnando un gioiello qual è Si riparano bambole, un più che libro, la summa di un sommo scrittore decifrato e attraversato ora da Carmelo Bene, ora da Andrea Camilleri e oggi, dunque, da Vincenzo Profeta, artista oltre che funambulo della parola scritta.
Il protagonista di Viola, Osvaldo, è un intellettuale palermitano intrappolato in una quotidianità oziosa e priva di stimoli reali. La sua esistenza subisce uno scossone quando incontra Viola, una giovane donna milanese che vive nel quartiere Isola. Ma la loro relazione non si sviluppa secondo i canoni tradizionali: è una storia d’amore che prende forma su Instagram, tra like, commenti e messaggi diretti. La tecnologia si insinua nella loro intimità, plasmando il loro modo di comunicare e di percepirsi l’un l’altro, fino al loro incontro durante un concerto.
Attraverso questa relazione virtuale, Profeta mette a nudo le contraddizioni delle interazioni nell’era dei social media: la ricerca ossessiva di autenticità in un mondo artificiale, l’illusione di vicinanza dietro uno schermo e la fragilità dei rapporti e l’incomunicabilità astratta dei sentimenti.
Osvaldo e Viola non si incontrano quasi mai nella realtà, sembrano esistere solo nella dimensione sogno telepatico, eppure il loro legame è denso di una tensione che oscilla tra desiderio, alienazione e ossessione. Ciò che rende Viola un’opera unica è il suo stile narrativo. Profeta si ispira al metodo del Cut-Up, una tecnica sperimentale resa celebre da William S. Burroughs e Brion Gysin, è una scrittura ipertestuale che consiste nel destrutturare e ricomporre frammenti testuali per creare nuovi significati. Nel romanzo, questo approccio si traduce in un linguaggio spezzato, un flusso di pensieri e parole che sembrano emergere da un nulla divinatorio, proprio come suggerisce il titolo.
La scrittura di Profeta diventa oracolare e non è solo un vezzo stilistico, bibliomantica, predice i sentimenti, le emozioni nel lettore come un algoritmo, una formula magica, una sorta di metafora della frammentazione dell’identità nell’epoca digitale, dove i sentimenti sembrano dettati da un algoritmo.
Osvaldo e Viola, come tutti noi, sono sommersi da un flusso continuo di immagini, testi e stimoli che alterano la loro percezione del mondo e di sé stessi.
La narrazione non segue una linearità tradizionale, ma si muove attraverso stralci di conversazioni, citazioni pop, riferimenti culturali e improvvisi cambi di tono, proprio come se fosse un feed social in continua evoluzione, il tutto inframmezzato da una covid lesbo story romanzo, nel romanzo, un horror sciamanico ambientato in un non ben precisato ospedale di Caltanissetta, racconto scritto dal protagonista alter ego di Profeta, Osvaldo (e forse forse sotterraneo rimando a un altro illustre fantasma della letteratura, quel Vitaliano Brancati in transito a Nissa con Sogno di un valzer).
Attraverso Viola, Vincenzo Profeta compie una critica ironica, quasi comica alla società contemporanea, dominata dall’effimero e dalla superficialità. La tecnologia, che dovrebbe facilitare la comunicazione, si trasforma in una barriera che ostacola il contatto autentico. Osvaldo e Viola rappresentano due individui alla deriva, incapaci di afferrare una realtà che si sgretola sotto il peso della virtualità, e di capire- nell’assenza asettica di una sola stilla di sudore - il loro amore.
Ma il romanzo non si limita a denunciare questa alienazione: invita il lettore a riflettere su cosa significhi davvero nutrirsi reciprocamente, amare e vivere in un’epoca in cui tutto è sotto controllo, fino al collasso. L’uso della scrittura frammentaria e della sperimentazione stilistica non è fine a sé stesso, ma serve a immergere chi legge in un’esperienza sensoriale che rispecchia la confusione di un mondo interiore ormai estinto.
Viola. Scritture dal nulla non è certo un romanzo per chi cerca una lettura convenzionale. È un libro che sfida il lettore, lo costringe a decifrare significati nascosti tra le righe e lo invita a lasciarsi trascinare dal flusso ipnotico della narrazione che ad un certo punto diventa quasi messianica.
Vincenzo Profeta dimostra di essere un autore che non ha paura di osare, sperimentare e rompere le regole, offrendo un’opera che non solo racconta la contemporaneità, ma la incarna nel suo stesso linguaggio, trovando un modo straniante di raccontare l’amore e desiderarlo. Viola rappresenta un atto di rivolta, un grido contro la standardizzazione e una celebrazione della libertà espressiva.
Un libro che non si legge, ma si attraversa, e che dallo stesso autore viene presentato sotto forma di performance ipertestuale in vari incontri. La copertina di colore viola, indica le suggestioni cyberpunk e futuriste di Profeta, viola nome di donna, colore del sacro e del punk, come Vincenzo Profeta.
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