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Cecilia Sala, "d'accordo con i suoi genitori": Meloni, parole pesanti come macigni

Alessandro Gonzato
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 La giornata inizia con Giorgia Meloni che informa della situazione e invita alla prudenza. Nella nota diffusa da Palazzo Chigi si legge che «il presidente del Consiglio segue con costante attenzione la complessa vicenda di Cecilia Sala fin dal giorno del fermo, il 19 dicembre. Il premier», va avanti il testo, «si tiene in stretto collegamento con il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e col sottosegretario Alfredo Mantovano al fine di riportare a casa al più presto la giornalista italiana».

Poi l’appello alla calma: «D’accordo coi genitori di Cecilia tale obiettivo viene perseguito attivando tutte le possibili interlocuzioni e con la necessaria cautela, che si auspica continui a essere osservata anche dai media italiani». Il caso è seguito anche dalla Commisione europea. Tajani, interrogato dai cronisti al Senato, aggiunge: «Il governo è al lavoro dal primo giorno in cui è stata fermata.

 

 

 

Lavoriamo in collaborazione con la nostra ambasciata a Teheran e il consolato. Cecilia ha già parlato due volte coi genitori. Ieri (venerdì, ndr) ha ricevuto una visita consolare di mezz’ora da parte della nostra ambasciatrice in Iran. La ragazza è in buona salute», spiega Tajani, «è in una cella da sola, a differenza della giovane Alessia Piperno che invece era in cella con altre persone che parlavano solo la loro lingua. Adesso Cecilia», prosegue il ministro, «riceverà attraverso il ministero degli Esteri in Iran, su consegna della nostra ambasciata, beni di prima necessità. Lavoriamo in perfetta sintonia con la famiglia».

Altro invito a un atteggiamento giudizioso: «L’esecutivo chiede discrezione e riservatezza per una trattativa che deve essere diplomatica e fatta nel modo migliore per garantire la sicurezza e il rientro in Italia».

 

MODALITÀ

Con quali tempi? «Difficile dirlo», risponde Tajani, «mi auguro che siano brevi ma non dipende da noi. Intanto stiamo cercando di garantire che Cecilia sia detenuta nelle migliori condizioni possibili, che abbia un trattamento normale». Ricordiamo che è partita da Roma per l’Iran il 12 dicembre. «Aveva un regolare visto giornalistico e le tutele di una giornalista in trasferta», ribadisce Chora Media, la compagnia di podcast italiana per la quale la collega realizza “Stories”. Le motivazioni dell’arresto non sono ancora state formalizzate. Il suo rientro a Roma era previsto per il 20 dicembre, ma la mattina del 19, dopo uno scambio di messaggi, il suo telefono non ha dato più segni. Alcuni ragionano su un video in cui era apparsa col capo completamente scoperto – filmato poi sparito dai suoi social – mentre raccontava la vita a Teheran e le iraniane senza velo, “libertà” vietata secondo la lettura sciita della legge islamica, la sharia, che regola la società iraniana.

 

 

 

Su Instagram il compagno di Cecilia, Daniele Raineri – anche lui giornalista – pubblica una foto della ragazza che tiene in braccio un cagnolino e a corredo scrive: «Arrivano moltissimi messaggi di solidarietà. Appena sarà possibile Cecilia saprà di tutto questo affetto. È andata a lavorare e al penultimo giorno è stata arrestata dalle autorità iraniane, rinchiusa in una cella d’isolamento nella prigione di Evin. La prima visita in carcere è stata autorizzata soltanto dopo otto giorni d’isolamento». Tajani però su questo punto ha già precisato: «Non parlerei di isolamento. È in cella singola per non stare con altre persone che non parlano inglese né italiano».

 

VOCI E ALTRE MANETTE

Dietro alla vicenda c’è un possibile scambio tra prigionieri: Cecilia - l’ipotesi ha iniziato a circolare con le ore potrebbe essere vittima di una rappresaglia da parte di Teheran per l’arresto il 16 dicembre (tre giorni prima di quello della cronista) di un cittadino svizzero-iraniano, Mohammad Abedini Najafabadi, all’aeroporto di Malpensa. Portato nel carcere milanese di Opera, è accusato di terrorismo dalla Corte federale di Boston. Tajani replica: «È inutile fare dietrologie. Il detenuto è trattato con tutte le regole di garanzia. Il suo avvocato ha avuto la possibilità di conoscere i capi d’imputazione ma», evidenzia il vicepremier forzista, «sono capi d’imputazione che vengono da un mandato di cattura internazionale, non è una scelta italiana. Non siamo competenti per il procedimento penale. Poi si vedrà per l’estradizione». Nel tardo pomeriggio, interpellato dall’Ansa, parla il papà della giornalista, un messaggio stringato: «Ringrazio tutti per l’attenzione che stanno avendo nei confronti di mia figlia». Sui social, poco dopo la notizia dell’arresto, ha cominciato a diffondersi l’hashtag #FreeCecilia, “Cecilia libera”.

L’appello, oltre che da diversi colleghi (tra i primi Claudio Cerasa, il direttore de Il Foglio di cui la 29enne è redattrice), è stato condiviso da politici, attivisti e personaggi dello spettacolo. A lanciare l’hashtag è stata Chora Media. Stamattina a Torino (piazza Castello) è previsto un sit in. Ieri, in serata, il messaggio di Khader Tamimi, presidente della comunità palestinese della Lombardia: «Sono contrario all’arresto di giornalisti. Devono essere difesi anche gli altri cronisti, quelli che stanno a Gaza e che sono stati uccisi».

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