Santanchè, sit-in anti-burqa: "Condannata perché non doveva stare lì"
Alla pitonessa (che fu aggredita) quattro giorni di galera per la protesta del 2009: ora il giudice ci spiega anche l'assurda ragione della sua decisione
Riavvolgiamo il nastro fino al 20 settembre 2009. Ci troviamo alla Fabbrica del Vapore di Milano, lo spazio pubblico dove la comunità islamica celebrava il Ramadam. Fuori, Daniela Santanchè e il suo "Movimento per l'Italia" (all'epoca ne era leader) manifestavano contro l'obbligo del velo imposto dall'Islam. Alta tensione. Quattrocento uomini si scagliano contro la Santanchè e contro gli altri manifestanti, uno - testimonia un funzionario di polizia - "brandiva a mo' di clava addirittura un cartello stradale". La Santanchè fu bersaglio di insulti quali "troia, ti ammazziamo". Infine un tizio più agitato degli altri la colpì con il braccio ingessato. Condanna e motivazione - La storia è nota. L'aggressore che colpii la pitonessa se l'è cavata con un'ammenda, mentre la falca di Forza Italia è stata condannata a quattro giorni di galera, convertiti in una sanzione di mille euro, per "manifestazione non autorizzata". La novità, ora, sta nelle motivazioni della condanna redatte dal giudice Maria Luisa Balzarotti e depositate nelle ultime ore. La colpa della Santanché? Non doveva stare in quel posto. Insomma, non si tratta tanto del corteo spontaneo, quanto del fatto che Daniela, in barba ai diritti più basilari, non si doveva trovarsi su quel marciapiede, "innescando" il clima di tensione che alla fine si è ritorto soltanto contro di lei. Il virgolettato - La sentenza, per la precisione, recita: "La tensione era salita proprio a causa di questi tentativi del gruppetto di avvicinarsi alle donne che lo portavano per togliere loro il velo (...) Anche dall'interno della struttura si avvertiva qualche problema di contenimento dei fedeli islamici in quanto tutti quelli che erano dentro volevano uscire in difesa di queste donne". Pecccato però che quando i fedeli uscirono, tentarono di menare la Santanchè, colpevole di "esaperare gli animi" islamici semplicemente con la sua presenza. E dunque colpevoli entrambi, Daniela e l'aggressore, ma "più colpevole" la pasionaria azzurra. Parola di giudice.