Cerca
Logo
Cerca
+

Giordano: per Renzi solo Google può eludere

Matteo Renzi e Mario Giordano

Il segretario Pd contro Berlusconi, ma difende le web company che guadagnano in Italia e pagano le tasse fuori

Andrea Tempestini
  • a
  • a
  • a

Non mi sono mai piaciute le tasse, e dunque mi trovo a disagio a difendere una tassa. E ancor più mi trovo a disagio nell'essere, per una volta, d'accordo con Carlo De Benedetti. Però devo confessare che  questa levata di scudi della Renzi Boy Band, le anime belle del nuovo che avanza, contro la Web Tax mi fa davvero ridere. Ma come? Non erano i nemici di ogni evasione? Non erano quelli che “le imposte devono colpire tutti”? Non erano quelli che s'indignavano per i paradisi fiscali, le triangolazioni di capitali, gli inganni all'erario nascosti nei passaggi di denaro fra società straniere? E allora perché adesso chi tenta di mettere un freno a tutto ciò diventa il cattivo di turno? Perché lo si bolla come affossatore della libertà e nemico del popolo? Forse solo perché nel mirino, anziché   gli odiati imprenditori del Nord Est, ci sono le grandi e trendy  multinazionali di Internet? Nel 2012 Google Italia ha fatturato 52 milioni: all'erario ne ha versati meno di 2 (un milione e ottocentomila, per l'esattezza). Amazon, che ne ha fatturati oltre 26 milioni, ha versato  950mila euro. Facebook, che nel mondo fattura 5 miliardi di euro, paga al fisco italiano 132mila euro (132mila euro!  Meno di idraulico di provincia!). Apple, che nel mondo fattura addirittura 40 miliardi di euro, appena 3 milioni. Possibile? 3 milioni? Con tutti gli Apple Store sempre pieni, le code per comprare l'I-phone e l'I-pad, le novità in vendita sempre da aggiornare? Possibile. E sapete come mai? Semplice: Una multinazionale si appoggia a una società irlandese, un'altra fa confluire i suoi guadagni in una lussemburghese, e poi via, di qui verso i paradisi fiscali dei Caraibi, come ha dimostrato un'inchiesta del settimanale americano Business Week secondo cui Google, in un triennio, ha pagato appena il 2,4 per cento di tasse sui suoi ricavi. Il 2,4 per cento, capito? Finché si tratta di denari guadagnati altrove, chi se ne importa. Ma sui guadagni maturati in Italia? Se questi lavorano qui, producono reddito qui, occupano uffici e strade, non solo virtuali, nel nostro Paese, non dovrebbero versarci anche i dovuti tributi? Invece: niente. Qualcuno l'ha definita “la più grande emorragia finanziaria della storia del capitalismo”. Eppure, siccome nasce negli ambienti trendy, quelli della mela e del like, dei cervelli fini e dell'innovazione, è circondata da un'aura positiva. Quasi estasiata. Web-evadere diventa elegante, web-eludere è chic. Ah, come sono bravi, ah come sono intelligenti. “A che serve tassarli? Troveranno il modo per aggirare l'imposta”, scrive per esempio Il Sole 24 Ore, in un articolo traboccante di ammirazione. Ma sicuro: in base a questo principio perché non mandiamo in pensione l'intera Guardia di Finanza? Se chi scappa dalle tasse è bravo, beh, qui in Italia abbiamo cervelli ancor più creativi di quelli di Cupertino… E Renzi? Lui ovviamente non poteva mancare. È ovvio: si schiera sempre con tutto quello che è trendy. Si fa fotografare con il cibo di Eataly, organizza le riunioni alle 7 del mattino per poter salutare i netturbini (quant'è chic stare con i netturbini, al giorno d'oggi), viaggia in treno, si trastulla con il trolley, usa i Roy Rogers degli Anni Ottanta. E dunque non può che  stare dalla parte di Facebook e Google. Evadono? Pazienza. Eludono? Chi se ne importa. Sono il nuovo che avanza, proprio come lui. E chi l'ha detto che il nuovo che avanza non deve pagare le imposte? “Ci pensi l'Europa”, taglia corta il nuovo segretario del Pd. Che è un modo elegante per seppellire il problema sotto una montagna di scartoffie in salsa belga.  Purché nessuno, ovviamente, disturbi il manovratore del mouse.  Sia chiaro: la web tax, per com'è uscita nella sua prima versione, era  tutta sbagliata, a cominciare dal nome (qui non si tratta di tassare il web: si tratta di tassare i guadagni fatti dalle multinazionali in Italia). E le modalità fiscali previste erano “grossolane”, come ha riconosciuto pure il ministro Zanonato, tanto da meritarsi i rimbrotti tecnici della Commissione Ue. Ma il principio resta: chi produce soldi in Italia deve pagare tasse in Italia.  Dobbiamo trovare il modo per esigerli. Che c'entra l'Europa? Non dovremmo avere l'orgoglio (magari anche la capacità) di fare da soli? O dobbiamo inchinarci per rispetto di fronte al genio creativo di Apple e alla moda di Facebook? Quello che dà fastidio, ancora una volta, è il doppiopesismo di questo pensiero politicamente corretto che è pronto a indignarsi per l'artigiano che evade mille euro (ah! La caduta della morale! L'effetto del berlusconismo! La depravazione etica!) e poi lascia passare (“Ci pensi l'Europa”) i milioni di euro dei colossi del web. Solo perché vendere servizi e giochi on line è più figo che vendere bottoni o carne di vitello? In fondo,  anche ciò per cui è stato condannato Berlusconi, ammesso che sia vero, è  molto simile a quello che fanno le multinazionali di Internet: secondo i magistrati il Cavaliere avrebbe frodato il fisco portando all'estero i suoi guadagni, anziché pagare le tasse in Italia. Abbiamo sentito per mesi e mesi i grandi intellettuali che si stracciavano le vesti deplorando quel comportamento, la sottrazione di denaro alle casse pubbliche, una specie di attentato alle finanze nazionali, roba da nemico pubblico della Repubblica… Ma quello che fanno Google e Facebook non è la stessa cosa? Non portano anche loro all'estero i guadagni per non pagare le tasse in Italia? E allora perché nessuno s'indigna? Perché, per intervenire, dobbiamo aspettare che “ci pensi l'Europa”? di Mario Giordano

Dai blog