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Lo statista D'Alema perso in una bucadà gli ordini a Lupi: "Riparami la strada"

Massimo D\'Alema e Matteo Renzi

L'ex premier al ministro per le Infrastrutture: "Devi sistemare l'asfalto vicino alla mia Fondazione: è in centro, mica a Torbellamonaca..."

Ignazio Stagno
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La buca è, probabilmente, un risucchio dell'anima. «In de la mia strada gh'è ona busa noeuva / ona busa noeuva che jer la gh'era nò. / L'hoo minga vista, porca d'ona Eva/quella busa noeuva e, pamm, son borlaa giò!», nella mia strada c'era una buca nuova, non me ne sono accorto e ci sono rotolato dentro (assieme al vigile), cantava Nanni Svampa, nella suametafora sociale. Ma quella, diomio, era una buca plebea, una buca di Milano. Le buche nel porfido di Roma - come quella in via dei Baullari tra piazza Navona e piazza Farnese - che s'intromettono nel passeggio quotidiano del viandante Massimo D'Alema; be', quelle sono tutt'altro.  Sono stizza ideologica, materia di dibattito politico, finanche cupio dissolvi. Capita che Max D'Alema s'avveda della buca a Roma, a due passi dalla sede della sua Fondazione Italiaeuropei; e, invece di incazzarsi col suo sindaco Marino, Pd, trovandosi di passaggio a Milano, pensa bene di rivolgersi al ministro dei Trasporti, il milanesissimo Maurizio Lupi, ex Pdl: «L'hanno scavata, la buca, e nessuno l'ha ancora richiusa. All'estero avrebbero arrestato il responsabile di uno scempio simile: è in pieno centro, mica a Torbellamonaca...». La qual cosa, nel claustrale Lupi, a cui pur s'addice una naturale disposizione penitenziale, fa sorgere inquietanti interrogativi: ma dove va all'estero, Massimo D'Alema? Perché, allora, Ignazio Marino è ancora a piede libero? Di quante buche è disseminato l'asfalto degli sfigati di Torbellamonaca?; e soprattutto quando mai c'è passato, il pariolino D'Alema, a Torbellamonaca? Lupi, con la sua bella faccia da pugile, si limita a sussurrare: «Adesso dovrò occuparmi anche della buca di D'Alema...», dando l'im - pressione di poter davvero arrivare, personalmente e cristianamente, in via Baullari, armato di cazzuola, cappelluccio da muratore e cemento a presa rapida. E, insomma, il ministro la chiude lì. Ma pecca, invero, di superficialità. Perché, per quel che è oggi Il fantasma del leader di un centrosinistra che fu e non è più (bella definizione dall'omonimo libro di Alessandra Sardoni, Marsilio) la buca di D'Alema è una ferita profonda, una straordinaria mancanza di rispetto.  Quella buca, per l'ex leader senza sorriso è, in realtà, la discesa nel Maelström di E.A. Poe. Il vortice dell'impo - tenza. Un po' la sua personale metafora della sconfitta. E non importa che davanti a quella depressione stradale (che è davvero ignorata, da tre mesi, dal Comune) vi sia tanto di cartello con lastra per il passaggio annessa. Quella buca, sul basculare quotidiano di colui che fu il capo indiscusso, è lì a ricordargli tutte le buche degli ultimi anni. Cito random, estraendo puredaun sito di militanti di sinistra disillusi: la passeggiata a braccetto con Hezbollah; e l'accarezzamento della foto di Vasto «il futuro»; e il sogno del ministero degli Esteri con Monti attraverso la rete europea di endorsementlaburisti di Gianni Pittella (trombato Monti e trombato pure Pittella); e il sostegno di Boccia alle Regionali e di Bersani alle Primarie (e s'è visto...); e fare le Primarie finte; e «fare le Primarie vere, perderle di fatto e dire che le primarie sono una cazzata »; e Grillo che è «solo l'incrocio fra Umberto Bossi e il Gabibbo»; e la Bicamerale; e «se votassero solo quelli che leggono libri e giornali vinceremmo noi»; e quell' «igno - rante di Renzi», giusto per citarlo.  Forse è tutto questo che scorre nella testa dell'ex politico più intelligente d'Italia, mentre, ingobbito e invecchiato, ogni giorno, sfiora le auto di passaggio in via dei Baullari onde evitare che, causa la maledetta buca, sterzino e rischino di arrotarlo. Che poi, in fondo, è l'unico modo per far fuori D'Alema. O magari, semplicemente, la risposta sta nelle scarpe. Anni fa, in una cena a casa dell'amico Alfredo Reichlin, Max ne sfoggiava un paio costate un milione e mezzo di lire. Incredulità degli astanti, scrisse Concita De Gregorio: «Ma sono fatte a mano ». «Ah, ecco». Nel suo incedere a testa alta, l'incubo dello statista è essere inghiottito dai piedi, specie se avvolti nel cuoio pregiato...  di Francesco Specchia

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