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Giampaolo Pansa, il Bestiario più letto della storia di Libero: "Il bordello di Papa Francesco"

Giulio Bucchi
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Pubblichiamo di seguito uno degli ultimi articoli di Giampaolo Pansa apparsi su Libero. Questo "bestiario", il più letto della storia del nostro quotidiano, parla di Papa Francesco ed è stato scritto dal giornalista l'11 novembre del 2015.  «Chiaro?». Passerà alla storia questa domanda sarcastica di appena sei lettere, più un punto interrogativo, ringhiata da papa Jorge Mario Bergoglio nel corso di una conferenza stampa improvvisata. L'incontro con i giornalisti si svolgeva sull'aereo che portava il pontefice da una tappa all'altra, durante il viaggio autunnale negli Stati Uniti. Il pontefice l'aveva sparata per smentire di aver invitato Ignazio Marino, in quel momento ancora sindaco di Roma, al Congresso sulla famiglia che si teneva a Filadelfia. Ma purtroppo per il papa, Bergoglio non si rendeva conto che il famoso «Chiaro?» sarebbe rimasto anche nella sua storia di capo del Vaticano. Un bordello, sia detto con rispetto e senza allusioni, ancora più fenomenale dello sfascio che Marino stava lasciandosi alle spalle, una volta cacciato dal Campidoglio. Posso dire come la pensa il Bestiario sul conto di Bergoglio? Il passato di ciascuno di noi è una spia di quello che sarà il suo futuro. Sto parlando soprattutto di signori anziani, come il sottoscritto e come l'attuale pontefice. Papa Francesco sta diventando un personaggio imprevedibile, una fonte infinita di problemi anche per se stesso. Parla troppo. Ne inventa una al giorno, si sarebbe lamentata mia nonna Caterina che pure recitava tre volte il rosario nell'arco delle ventiquattro ore. Viaggia di continuo. Si impiccia di questioni che non dovrebbero riguardarlo dal momento che non è un leader politico. Infine dimostra una forte inclinazione a sinistra, così sembra. Libero l'ha già definito un peronista. Del resto, pur essendo di famiglia astigiana, è in realtà un figlio dell'Argentina, l'approdo di tantissimi emigrati italiani. Leggi anche: "Ci capiva poco, ma...". Feltri, commovente e controcorrente ricordo di Giampaolo Pansa Antonio Socci, un collega davvero eccellente che sa tutto di preti, di vescovi e di papi, ha ricordato sul nostro giornale che Bergoglio non aveva lasciato un buon ricordo di sé quando era il capo dei gesuiti argentini. Allora risultò essere un disastro e causò un sacco di problemi. Secondo un big della Compagnia di Gesù, si era circondato di una corte di pasdaran peronisti super fedeli e non si dispiaceva di essere oggetto di un vero culto della personalità. Di qui nacquero una serie di guai non ancora risolti dopo tanti anni. Forse gli stessi che emergono oggi in Vaticano. Sto parlando male del pontefice? Penso proprio di no, ma se anche fosse, non commetterei nessun peccato. Non sono un credente. La sera, prima di addormentarmi, prego i miei genitori di assistermi nel sonno e di farmi svegliare la mattina in buona salute e con la testa lucida. Per questo posso ritenere che la fatale domanda «Chiaro?» Bergoglio dovrebbe rivolgerla anche a se stesso. Il motivo è sotto gli occhi di tutti. Quanto sta emergendo grazie alla pubblicazione dei libri di Gianluigi Nuzzi e di Emiliano Fittipaldi, svela un paesaggio che sembra infernale, pur essendo all'ombra del Cupolone. Da sindaco di Roma, Ignazio Marino si sarà accorto in ritardo della mala pianta cresciuta attorno alla consorteria guidata da Buzzi & C. Guadagnandosi il soprannome ironico di “Ignaro”. Ma ben più ignaro di lui si è dimostrato papa Bergoglio. Oggi la sua corte sta tentando di sostenere che le inchieste di Nuzzi e Fittipaldi fotografano una situazione disastrosa già rimediata, o rattoppata, grazie all'intervento drastico del pontefice. Eppure al Bestiario questo sembra un paravento da poco. Per non dire che si tratta di una via di fuga del tutto inefficace. Ho raccontato per anni la tragedia dei partiti politici italiani. E ogni volta venivo investito dalle proteste dei tanti ras della Casta che dominava la Prima e la Seconda Repubblica. Quando non mi accusavano di scrivere il falso, sostenevano che le magagne descritte da me e da altri colleghi su quotidiani e settimanali si riferivano a un passato più o meno remoto. Le vergogne che denunciavo erano già risolte. Poi nel febbraio 1992 esplose Tangentopoli e il lavoro investigativo del pool giudiziario di Milano portò alla luce una verità indiscutibile: il marcio non era affatto scomparso. E il terremoto che ne derivò ce lo rammentiamo tutti. Oggi bisogna avere la schiettezza di dire che lo scenario drammatico, e al tempo stesso di una banalità fantozziana, che sta emergendo tra le sacre mura del Vaticano ha una forza d'urto cento volte superiore a quello emerso nel tempo di Tangentopoli. Con un'aggravante: questa volta è in gioco una realtà, e di riflesso un'autorità, enormemente più grande della Casta dei partiti italiani. Il Vaticano, e la Chiesa cattolica, sono l'unica speranza rimasta a milioni di credenti. Vederli affondare nel marciume che sta venendo a galla procura angoscia a un'infinità di fedeli che assistono inorriditi a un disastro che nessuno si attendeva. E siamo soltanto all'inizio. Ieri è comparsa sulla prima pagina del Corriere della sera un vignetta sul pontefice, disegnata da Emilio Giannelli, un fuoriclasse della satira. Intitolata “Via Crucis”, ci presenta Bergoglio che porta sulle spalle una grande croce: il cardinale Tarcisio Bertone. Un vecchio detto sostiene che il diavolo si nasconde dei dettagli. È quello che sta accadendo anche nella catastrofe vaticana. Bergoglio deve vedersela pure con due comparse, come il prelato spagnolo e la signora marocchina. Il primo sta nel carcere papale, la seconda non è stata arrestata perché è incinta. Ma i media sono implacabili. E non risultano tutti succubi di Francesco. Nella libertà di stampa è implicito un meccanismo ferreo: la concorrenza. Anche le testate più favorevoli al Vaticano non possono restare al palo rispetto a quelle più ostili. Come diceva un vecchio motto? È il capitalismo, bellezza! Le fotografie della signora Francesca Chaouqui, molto generose a proposito dell'avvenenza di questa sconosciuta consulente nel campo delle pubbliche relazioni, aggiungono contorni maliziosi a una storia che non ha nulla di boccaccesco. A questo punto il caos del Campidoglio e il personaggio di Ignazio Marino ritornano alla loro dimensione reale. Gli scontrini del povero “Ignaro” hanno il peso di una piuma, rispetto alle macchinazioni finanziarie di alti prelati che si comportano «da faraoni» (Bergoglio dixit). E dunque le parole di Marino non possono essere ignorate. Ha spiegato, cito Il Messaggero dell'11 ottobre: «Sono avvilito. Mi stanno trattando come il boss mafioso Provenzano. Mia moglie non può più uscire di casa. Ve ne rendete conto?». Martedì scorso, Marino, ormai ex sindaco di Roma, si è comportato bene nel rispondere alla domande serrate di Giovanni Floris nella trasmissione sulla Sette. Non ha battuto ciglio neppure davanti alla spietata caricatura ideata da Maurizio Crozza. Che cosa dobbiamo fare di lui? Fucilarlo, mandarlo in esilio, privarlo dei diritti civili? Ignazio l'Ignaro sta e resterà in mezzo a noi. E sono pronto a scommettere che non si farà gettare nel guardaroba dei cani. Parlerà ancora, scriverà e si vendicherà, come farei io se fossi al posto suo. Vi ricordate l'antico inno di Garibaldi, scritto nel 1859 da Luigi Mercantini? Iniziava con parole diventate celebri: «Si scopron le tombe, si levano i morti». Se vuole davvero farlo, Marino ne ha molte di tombe da aprire. E già che c'è, ci spieghi in che modo ha ottenuto in affitto un lussuoso appartamento del Vaticano. di Giampaolo Pansa

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