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Socci: Scalfari travisa il Papa"La coscienza non è un'opinione"

Eugenio Scalfari e Papa Francesco

Bergoglio indica la via del perdono per chi è ateo. Ma il fondatore di Repubblica piega le parole del pontefice al suo pensiero. Spazzando via anche l'etica laica

Nicoletta Orlandi Posti
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Eugenio Scalfari non deve aver digerito la cancellazione dal sito del Vaticano della sua «intervista» al Papa. E nella sua interminabile omelia domenicale ha ribadito che «Francesco ha teorizzato in varie occasioni la libertà di coscienza dei cristiani come di tutti gli altri uomini e la loro libera scelta tra quello che ciascuno di loro ritiene sia il Bene e quello che ritiene sia il Male. E portando avanti il Vaticano II [Francesco] ha deciso di dialogare con la cultura moderna». La sommarietà di queste frasi mostra che Scalfari non ha le idee chiare. Ma con l'espressione «in varie occasioni» cerca di dire che anche nella lettera scritta dal Papa il 4 settembre, in risposta a un suo articolo del 7 agosto, Francesco diceva sulla coscienza la stessa cosa che lui gli ha attribuito nell'intervista del 1° ottobre (quella cancellata dal sito vaticano). Invece si sbaglia. La domanda posta da Scalfari nel suo articolo agostano era infatti la seguente: «Se una persona non ha fede né la cerca, ma commette quello che per la Chiesa è un peccato, sarà perdonato dal Dio cristiano?». La risposta è «no», ma Scalfari ha creduto invece di sentire «sì». Perché un tale malinteso? Per due ragioni. La prima. Scalfari equivoca sull'atteggiamento del Papa, che invece di freddarlo con un secco «no», lo prende per mano e fraternamente gli mostra la verità e la via del perdono. Infatti Francesco gli risponde dicendo che «la cosa fondamentale» è «che la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito». Già questo è eloquente. Poi il Papa aggiunge che «per chi non crede in Dio la questione sta nell'obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha fede, c'è quando si va contro la coscienza» che bisogna «ascoltare e obbedire». L'equivoco  - Qui scopriamo la seconda ragione dell'equivoco. Scalfari non ha compreso la complessa e delicata dottrina cattolica sulla coscienza e la confonde con l'opinione, ovvero ciò che uno decide che sia Bene o Male. Ma quando il Papa parla di coscienza intende tutt'altra cosa, ovvero «la legge scritta da Dio nell'intimo» dell'uomo, «una legge che non è lui a darsi, ma alla quale deve obbedire» (sto citando il Concilio Vaticano II che Scalfari evoca, ma senza conoscerlo). In sostanza, Papa Francesco con quella risposta rimandava al n. 1864 del Catechismo della Chiesa Cattolica, laddove parla del «peccato contro lo Spirito Santo», cioè l'unico che non può essere perdonato. Il Catechismo recita infatti: «La misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la salvezza offerta dallo Spirito Santo. Un tale indurimento può portare alla impenitenza finale e alla rovina eterna». Scalfari dunque equivoca. Ma a me stupisce pure che egli possa coltivare quell'idea la quale, di per sé, spazza via anche ogni tipo di etica laica. Se infatti il Bene e il Male non sono oggettivi, ma sono definiti da ciascuno a proprio arbitrio, non si vede in base a cosa si possano condannare certe infamie o grandi criminali come Hitler e Stalin, perché costoro potrebbero sempre giustificarsi sostenendo di aver seguito la propria idea di Bene. L'equivoco di Scalfari ha tratto molti in inganno. Qualcuno, nel mondo cattolico, ha storto il naso perché il Papa ha dialogato con un potente intellettuale che ha sempre manifestato la sua avversità alla Chiesa. Ma Francesco aveva colto due spiragli importanti nell'articolo di Scalfari. Il primo laddove scrive: «Sono un non credente che è da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazaret». Il secondo spiraglio sta proprio nella domanda - sopra citata - sulla possibilità di avere il perdono di Dio per «una persona che non ha fede né la cerca» e che «commette quello che per la Chiesa è un peccato». L'autoinganno - In riferimento al primo tema, Francesco ha testimoniato accoratamente il suo personale incontro con Cristo che non è solo uomo, ma si proclama e si dimostra tangibilmente Dio, dunque il Salvatore. Sulla seconda domanda il Papa ha colto un'ansia sulla sorte eterna che vive anche chi si proclama ateo. Scalfari sembra sincero in entrambi i casi. Rischia però di cadere in un autoinganno, quello di cercare risposte compiacenti con le sue opinioni. Sembra che cerchi una qualche rassicurazione, dal Vicario di Cristo, perché - in fin dei conti - se c'è poi qualcosa la prospettiva dell'inferno, cioè di un tormento senza fine e senza scampo, non è proprio simpatica. Nemmeno per chi si dice ateo.  All'intellettuale ateo Papa Francesco ha teso fraternamente la mano e con umiltà lo ha esortato a lasciarsi abbracciare dalla Misericordia di Dio. Perché, come ha detto Gesù a santa Faustina Kowalska (evocata dal Papa all'Angelus di domenica): «Chi non vuole passare attraverso la porta della misericordia, deve passare attraverso la porta della Mia giustizia». E con la giustizia di Dio non si scherza. Certo, Scalfari è un navigatore di lungo corso, un uomo che si è dimostrato abilissimo a destreggiarsi in tutte le epoche. Solo che con il Padreterno la scaltrezza umana non funziona. Il Concilio Vaticano II - si badi bene, proprio il Concilio che Scalfari evoca - afferma che per salvarsi occorre entrare nella Chiesa: «Questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza. Solo il Cristo, infatti, presente in mezzo a noi nel suo corpo che è la Chiesa, è il mediatore e la via della salvezza; ora egli stesso, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cfr. Gv 3,5), ha nello stesso tempo confermato la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano per il battesimo come per una porta». A questo punto il Concilio proclama: «Perciò non possono salvarsi quegli uomini, i quali, pur non ignorando che la Chiesa cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria, non vorranno entrare in essa o in essa perseverare» (Lumen Gentium n. 14). Naturalmente ciò non riguarda chi non ha potuto conoscere il Vangelo: «Infatti, quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll'aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione e riconoscimento di Dio, ma si sforzano (...) di condurre una vita retta» (Lumen Gentium, n. 16). San Paolo - Per chi invece ha conosciuto l'annuncio cristiano e lo rifiuta o lo tradisce, il Concilio cita un passo di san Paolo che giudica e condanna i costumi del suo tempo, così simili a quelli di oggi: «L'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia (...) poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato (...); essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e così non hanno capito più nulla. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili». L'Apostolo aggiunge: «Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore». Infine conclude: «Poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno... pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa» (Rm, 1, 18-32).  C'è di che tremare e meditare. Per tutti. di Antonio Socci

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