Giordano: Basta con gli adolescenti difficili, siamo noi padri i ricoglioniti
Alla firma di Repubblica e agli altri genitori preoccupati di raccogliere calzini sporchi dico: siamo noi gli incapaci, sdraiati e rimbambiti. Loro lottano e ci danno lezioni
Cari padri, la volete smettere di lamentarvi dei vostri figli? Negli ultimi tempi è tornato di moda il piagnisteo generazionale: tutti lì in coda con il tono scandalizzato di «ah, signora mia», a dire che i giovani d'oggi non li si capisce più, tutto il giorno coricati sul letto, attaccati al computer, le cuffie nelle orecchie, ah ai miei tempi non c'era mica così, gli parli e non ti ascoltano, li guardi e sono distratti, «ah signora mia», non è mica più come una volta, ma avete visto che negozi frequentano? Ma avete visto che video guardano? Ma l'avete sentito che musica ascoltano? Perdirindindina: lasciano persino i calzini puzzolenti in giro per casa. Vorrei tranquillizzare i padri, e in particolare Michele Serra che ha dato alle stampe un libro in cui sostiene che «non si era mai visto niente di simile» e che siamo di fronte ad una mutazione epocale: i calzini in giro li abbiamo lasciati sempre tutti. E sono sempre stati puzzolenti. Normali distanze Non c'è scampo: passano gli anni, cambiano le epoche, ma l'afrore delle zampe adolescenziali si conferma immutabile, le tracce del pedalino sparso per la casa restano inconfondibili. E i padri (ma soprattutto le madri) vanno in giro a raccattarli con un vago senso di nausea, che è sempre lo stesso, almeno da quando hanno inventato i calzini. Per carità, è vero che, magari, di fronte alla camera in disordine, i genitori si lasciano andare ed esclamano pure: «Non si era mai visto niente di simile». Ma lo sanno benissimo che non è vero. Lo sanno, lo sappiamo tutti che non è vero. Lo sappiamo tutti benissimo che ogni generazione non ha mai capito quella successiva, che ogni padre è inorridito di fronte alla moda seguita dai figli («Ti sembra il modo di andare in giro?»), e si è arreso di fronte al tentativo di capirne i gusti musicali («A me quello sembra soltanto un rumore»). Le stesse frasi, le stesse incomprensioni, la stessa difficoltà a intendersi e a capirsi: fatico a penetrare la porta della stanza dei miei figli, a trovare argomenti da condividere con loro, esattamente come mio padre faticava con me, e probabilmente mio nonno con mio padre. Non mi piace la loro musica, fatico a tradurre i loro linguaggi, le poche volte che mi hanno trascinato nei negozi di cui parla anche Michele Serra, quelli che i ragazzi amano tanto, con modelli desnudi, luci basse e profumi intensi, sono scappato via a gambe levate urlando «perché mi avete portato all'inferno»? Figli incolpevoli Ma non penso che questo sia il frutto di una mutazione epocale. È, semplicemente e banalmente, lo scorrere del tempo. Per cui è ingiusto prendersela con i nostri figli. Lo dico perché da qualche giorno rimbalzano in libreria, e di qui sui giornali, grandi bastonate alla «generazione orizzontale», in cui i ragazzi vengono definiti «sdraiati», in pratica smidollati, eternamente accasciati sul divano, specie di marziani rammolliti, capaci solo di estraniarsi dal mondo per connettersi con le loro realtà virtuali, addirittura privi di parola («La parola non circola più», sentenzia La Repubblica), muti esecutori della propria nullità. E io mi guardo attorno, forse anche un po' in casa, e penso che i giovani oggi hanno tanti difetti, ma più o meno come li avevamo noi alla loro età. E se stanno sdraiati è forse solo perché non siamo stati abbastanza capaci di insegnar loro come si tiene la schiena dritta. i veri responsabili E quindi forse sarebbe ora che noi padri, anziché prendercela con i nostri figli, ce la prendessimo un po' più con noi. Perché se davvero i ragazzi stanno venendo su viziati è colpa nostra, che ci siamo trasformati ormai da troppo tempo da genitori a sindacalisti della figliolanza. È colpa nostra che prendiamo perennemente le loro difese, li giustifichiamo sempre, li proteggiamo oltre ogni ragionevole margine di sicurezza. Un tempo se un professore dava un quattro, lo studente andava a casa a rischiava di prenderle: adesso rischia di prenderle soltanto il prof. Vai male a scuola? Non è che sei asino: è colpa degli insegnanti che non ti capiscono. L'allenatore ti manda in panchina? Non è che sei scarso: è che quello ha i suoi favoriti. Litighi con l'amico? Non è che ti sei comportato male, macché: è lui che non ha capito quanto sei buono. E se ti perdi in mezzo alla città alle 5 del mattino, ubriaco come un vecchio avvinazzato, non è mica colpa tua: macché, dovevi dimenticare il dispiacere degli insegnanti che non ti capiscono, dell'allenatore che ti manda in panchina e degli amici che litigano. Poverino, aspetta lì, che papino viene a prenderti. Non sono i figli che sono sdraiati. Siamo noi padri che siamo un po' rincoglioniti. Il tempo che passa E, se devo dir la verità, per quanto valgano queste generalizzazioni, altro che «generazione orizzontale»: i nostri ragazzi stanno venendo su fin troppo bene per quello che abbiamo saputo dar loro. Ci danno ogni giorno qualche lezione. Continuano a sognare. Continuano a lottare. Inseguono le loro passioni. Sanno ribellarsi (checché ne dica Serra) a modo loro, a modo loro sanno essere protagonisti. E se noi non lo capiamo, si rassegnino gli eterni giovincelli della rivoluzione fallita, non è perché i ragazzi sono marziani: piuttosto è perché noi stiamo invecchiando. Dobbiamo farcene una ragione. Quello che ci sembra incomprensibile è solo nuovo, quello che ci sempre irragionevole è solo diverso. Come lo è sempre stato, per i nostri padri, per i nostri nonni e per i nostri bisnonni. Noi siamo vecchi, loro sono giovani. E l'unico cambiamento davvero epocale è la fatica che noi facciamo ad accettarlo. di Mario Giordano