Travaglio: "I giornali saltano sul carro del vincitore Renzi". Ma da che pulpito...
Marco se la prende con i colleghi che ora si schierano con il sindaco di Firenze. Ma anche lui è un maestro di opportunismo
Il bue che dà del cornuto all'asino (anzi, agli asini). E' il Marco Travaglio di oggi, che se la prende con i colleghi: "Tutti a salire sul carro di Matteo Renzi", tuona il vicedirettore del Fatto Quotidiano, scandalizzato dai continui endorsement che il sindaco di Firenze sta imbarcando da tutti i principali quotidiani nazionali. Se la prende proprio con tutti, Marco: con il Corriere della Sera, con la Repubblica, il Messaggero, con la Stampa e anche con Chi ("Alfonso Signorini è uso a leccare ben altre famiglie - scrive perfido Travaglio -: ma certe lingue, una volta messe in moto, non riesci più a fermarle"). L'accusa ai columinst dei giornaloni del Belpaese è chiara: opportunismo. Perché le grandi firme del giornalismo politico nostrano, appunta Travaglio, hanno già fatto lo stesso gioco con gli astri nascenti degli ultimi vent'anni. "I cimiteri della politica sono pieni di leader, o pseudotali - sciorina -, osannati e issati sugli altari della stampa al primo afrore di vittoria e poi cestinati senza pietà con la stessa frettolosa disinvoltura. B., D'Alema, Veltroni, Casini, Fini, Monti e perfino Letta nipote". In poche parole, sintetizza il nostro, "il salto sul carro del vincitore, la sola disciplina olimpica in cui eccelle l'intellighenzia italiota, è vecchio come lo stivale". Il salto sul blindato della celere - Anche Marco, in tre lustri di celebrità giornalistica, ne ha fatti di salti. Ma lui non balza su carri vincenti: cerca blindati della celere (per sedersi lato conducente, sia chiaro) che portano colletti bianchi e lestofanti nelle patrie galere. Travaglio ha intrattenuto la relazione più duratura con Antonio Di Pietro, eroe dell'inchiesta Mani Pulite (sulla quale Marco ha costruito la sua fortuna giornalistica). Il vicedirettore è stato ben aggrappato all'ex pm fino all'ultimo. L'ha difeso anche di fronte all'inchiesta di Report che lo demoliva davanti al pubblico progressista, intestandogli meriti che Tonino neanche pensava di avere ("Senza l'Idv non avremmo votato i referendum su nucleare e impunità - vergava Travaglio -; i girotondi e i movimenti di società civile non avrebbero avuto sponde nel Palazzo; in Parlamento sarebbe mancata qualunque opposizione all'indulto, agl'inciuci bicamerali e post-bicamerali, alle leggi vergogna di B. e anche a qualcuna di Monti"). Ma quando s'è capito che per Di Pietro la gloria parlamentare era finita, Travaglio si è velocemente riposizionato. Per le ultime elezioni politiche un buon carro gli è parso quello di Antonio Ingroia, pm dell'inchiesta sulla presunta trattativa Stato-Mafia e suo caro amico. Nella lista Rivoluzione Civile, d'altronde, c'era un'ottima rappresentanza di quella magistratura inquirente che tanto eccita il nostro Marco: lo stesso Di Pietro e il sindaco di Napoli Giggino De Magistris (per il quale Marco ha firmato anche la prefazione al libro). Ma niente: le ambizioni di uno stuolo di toghe nei palazzi romani si è infranto contro il risultato delle urne. E con loro le ambizioni del Fatto di divenirne organi di stampa. Spiazzato dal tracollo dei pm, Travaglio ci ha messo un attimo a capire dove soffiava veramente il vento manettaro italiano. E allora con il fido Andrea Scanzi si è lanciato sul Movimento 5 stelle, dove Beppe Grillo e i suio battono sua argomenti sufficientemente vicini al giornale che Travaglio dirige. Ma con i pentastellati, bizzosi e facili a trasformare gli amici in nemici, ci sono state acredini spiacevoli su leadership e meccanismi interni. Marco, per mettersi al sicuro, sta già accarezzando il movimento lanciato da rifondaroli, Maurizio Landini della Fiom e Stefano Rodotà (tà-tà) Costituzione via maestra. Anche Travaglio salta. Eccome se salta.