Alan Friedman, la verità che demolisce l'economista da salotto: "Ecco per cosa viene pagato"
Alan Friedman è un genio assoluto dello spettacolo televisivo, editoriale e saggistico applicato al teatro dell' economia. Tutti lo conoscono come giornalista di rango, intellettuale pensoso e vigile, nemico dei populismi, fustigatore di Donald Trump e dei suoi veri o presunti epigoni occidentali: invariabilmente definiti da lui come "fascistoidi" e perciò destinati a un tracollo drammatico, una Piazzale Loreto di ferro e fiamme, una guerra civile con code agli sportelli bancari e truppe corazzate della Troika in marcia da Bruxelles per ristabilire l' ordine. Un vaticinio continuo, questo di Friedman, che ha l' Italia come terra d' elezione, soprattutto dacché il truce Matteo Salvini e l' avventuriero Luigi Di Maio si sono impadroniti della cosa pubblica a suon di voti, sì, ma a dispetto delle buone e implacabili maniere tecnocratiche cui vorrebbe ricondurci Friedman con il freddo compiacimento del figlio unico che ha studiato alla London School. «L' Italia non può permetterselo, andrete incontro a un default» è la frase totemica sulla quale ha costruito fortunati pamphlet pubblicati dai migliori editori. Leggi anche: L'aria che tira, volano insulti tra Friedman e Mussolini: "Cafona", "Povero str***" Il penultimo, "Ammazziamo il Gattopardo" (Rizzoli 2014), prendeva le mosse dalla crisi ma pretendeva di elargirci «un ambizioso e sorprendente programma in dieci punti per rimettere il Paese sul binario della crescita e dell' occupazione». Poco lungimirante, il libro pareva concepito per spingere l' allora premier Enrico Letta verso la luce alla fine del tunnel, sapendo che quella luce erano gli abbaglianti del missile renziano che arrivava in senso contrario per spianare ogni previsione. L' ultima fatica, invece, "Dieci cose da sapere sull' economia italiana prima che sia troppo tardi" (Newton Compton 2018), uscirà a breve in una nuova versione con due rimbombanti capitoli in aggiunta per meglio alimentare la messa in stato d' accusa dei nostri conti pubblici. È la cosa che a Friedman riesce meglio: pronunciare o scrivere vibranti moniti, fondati su studi accurati perché l' uomo è di valore, intonati a un crudo pessimismo apocalittico aggravato dalle vittorie populiste. CONDUTTORE Simpatico e popolare malgré soi, Friedman è anche la fortuna d' ogni autore televisivo perché conosce a memoria la materia, buca lo schermo e fa impennare la curva degli ascolti. Ha creato e condotto fior di programmi per Bbc, Abc, Sky e Rai. Celeberrimo fu il suo "Maastricht-Italia" su Raitre (1995-2001), quando sembrava che l' ingresso nell' euro dovesse renderci per sempre ricchi e felici. E lui era già lì, sicuro delle proprie ragioni, a dirci che la globalizzazione all' americana era una strada discendente e inevitabile; scemi noi a non fidarci Da allora Friedman si è via via impratichito nelle nostre movenze goldoniane, nel narcisismo mediatico e nel caratteristico eloquio da italiano d' America, diventando una specie di Heather Parisi canuta e danzante sulle punte della sua erre un po' blesa divinamente parodiata da Maurizio Crozza nelle vesti del giornalista al servizio del "rrrisparmiatchore". Ma se lui è la nostra Heather Parisi è perché noi siamo le sue "Cicale" sempre troppo spensierate e spendaccione e cialtronesche. Siamo fatti per lui: "Automobili telefoni tivù / nella scatola del mondo io e tu / per cui la quale". Gli anni passano, le crisi crescono e tutti continuano a cercarlo, per una ragione o per l' altra. Silvio Berlusconi ne ha fatto il suo biografo ma poi ci ha litigato. I migliori programmi tivù se lo disputano per un' ospitata, banchieri e analisti per un dinner, un lunch, uno speech. L' altro giorno ha aperto un convegno alla Borsa di Milano in qualità di Keynote Speaker e suonava autorevolissimo qualunque cosa volesse dire, ma funziona alla grande pure per l' apericena con presentazione libraria in zona a traffico limitato (Ztl). Ha una voce profonda e persuasiva da piano bar di Manhattan, purtroppo è stonato ma è un retore facondo ed esprime il suo suprematismo democratico in maniera involontariamente autoironica. Me lo immagino ricchissimo e pieno d' amici influenti, con una villa nel Lucchese perché sebbene sia nato a New York lui si sente a pieno titolo un cittadino del mondo e il mondo è piccolo e in Italia costa meno. L' AMICO BROKER Perfetto interprete del senso di colpa wasp mutato in obbedienza liberal - quella dei bianchi, anglosassoni, ebraico-protestanti per estrazione e radical chic per scelta di campo -, un tempo Friedman veniva pagato profumatamente dai giornaloni dell' establishment finanziario per raccontare la dolce vita quattrinara dell' Europa e dell' Italia in particolare, dal Financial Times al Wall Street Journal passando per l' International Herald Tribune quando ancora si chiamava così. Adesso lo paghiamo noi per farci dire quanto siamo diventati brutti. E che ce la passeremo sempre peggio. Su questo punto non ha mai deluso: l' ho incrociato varie volte a telecamere accese o spente, tra un processo a CasaPound su La7 (accanto a lui David Parenzo e Vladimir Luxuria a completare il tribunale speciale), una procedura d' infrazione giornalistica in Rai contro l' Italia sovranista, un' invettiva di corridoio contro Trump. Colto, preparato, brillante e fazioso come pochi, gli piace farti sentire appena un gradone al di sotto della sua immensità e qualunque domanda tu gli rivolga ti risponde esordendo così: ne parlavo ieri con un broker amico mio Non sempre però i suoi spacciatori di previsioni gli rifilano roba buona: mesi fa era strasicuro che Trump avesse le ore contate alla Casa Bianca; ora va dicendo in giro che rivincerà anche sotto impeachment. È un passo avanti verso il realismo, per lui che realista si professa anche quando sogna l' impossibile redenzione dell' homo europaeus dalle sue inclinazioni totalitarie. Il gran mondano Friedman è l' esatto contrario dello schivo Nouriel Roubini, l' analista finanziario atrabiliare che aveva previsto la feroce crisi dei subprime del 2008 con due anni d' anticipo, rimanendo avvolto dal più assurdo scetticismo. Riabilitato dal fallimento di Lehman Brothers, da dieci anni Roubini continua a tenere sott' occhio noi e le nostre pezze al sedere: entro il 2020 si aspetta un tale casino finanziario da proiettare l' Italia fuori dell' eurozona e gli Stati Uniti fuori dall' illusione trumpiana. Colpa dei dazi, degli stimoli fiscali di Washington, della mancata condivisione dei rischi sui debiti sovrani europei, dell' assenza di strumenti politici per gestire lo stato d' eccezione. Sarà il contenuto del prossimo libro di Friedman, a cose fatte e finite. Me l' ha detto un amico broker. di Alessandro Giuli