Ulisse l'ingrato che sbavasulla poltrona del Cav
Di Giacomo è il primo dei non eletti del Pdl in Molise, la regione dove Berlusconi è stato eletto al Senato. Pur di conquistare il seggio è disposto a appoggiare qualsiasi cosa: perfino votare con i 5 Stelle
Se la risposta a tutto questo casino è Ulisse Di Giacomo, allora la domanda era sbagliata. Di Giacomo, primo dei non eletti in politica e nella vita, è l'ex socialista ed ex berlusconiano di ferro che, in caso di decadenza di Silvio Berlusconi pretende di occuparne lo scranno senatoriale. Probabilmente ci riuscirà, ma il punto non è questo. Classe '50, molisano di Carovilli, medico, ex assessore, ex senatore, ex coordinatore regionale Pdl (e ci sarà un motivo), un'espressione torpida color beige, da burocrate uscito da un libro di Sciascia; Di Giacomo vive, da mesi, la mancanza delle proprie terga poggiate a Palazzo Madama come lacerante ossessione. Tra le decine d'interviste concesse in queste ore, nessuno ha però evocato il colloquio che Di Giacomo avrebbe avuto con un senatore del Pd, del tipo, più o meno: ...io appoggio qualunque cosa, sto pure coi 5 stelle, purché arrivi 'sto benedetto seggio. Tenore epico e coerenza granitica. D'altronde bisogna capirlo. Alle scorse elezioni il Pdl in Molise poteva esprimere un solo senatore; e Di Giacomo, da ex sodale dell'ex governatore Michele Iorio, convinto, da unico in lista di tornare a Roma, già pregustava la vittoria col Porcellum. Poi, però l'altro candidato, quel Silvio B. dalla Brianza, scelse il Molise come collegio; e quella piccola ma operosa regione da sempre Dc e poi azzurra, non riuscì ad esprimere neppure un autoctono del centrodestra. «A chill', a Ulisse, l'hanno fottuto...», così i compari commentarono l'alchimia del flusso elettorale. Però, Ulisse, uso obbedir tacendo, tacque. La sua lealtà berlusconiana era fuori discussione. Al punto da spingerlo a dichiarare: «È giunta l'ora che il Presidente Silvio Berlusconi si riprenda la responsabilità di guidare il centrodestra al governo del Paese dopo un anno di depressione e di tasse che hanno falcidiato le famiglie e le imprese. Il presidente Berlusconi deve compiere un ulteriore gesto di affetto per gli interessi della nazione; siamo certi che gli italiani gliene saranno riconoscenti». Ulisse era riconoscentissimo. Il suo mentore Iorio, per una vischiosa questione di lotte interne non era più nelle grazie del partito e nelle sue (al punto da fargli sussurrare: « c'è stato un pressing per escludermi dal partito non da Roma, ma da Isernia»)? Ulisse, zitto. Dopo un affiancamento ad opera di Raffaele Fitto, egli stesso veniva invitato a dare le dimissioni da coordinatore regionale dal plenipotenziario Denis Verdini che si era personalmente scomodato ad occuparsi del Molise, regione tutt'altro che strategica? Nessuna protesta, sempre zitto. Anzi. Solo pochi mesi fa, al tempo delle grandi rivolte, l'avevano visto addirittura arrampicarsi come un capriolo sugli scalini del Palazzo di Giustizia di Milano, ad inveire contro i giudici e solidarizzare col Capo perseguitato, meno male che Silvio c'è, i giudici cancro della democrazia e tutto l'armamentario del cuore (d'altronde, Di Giacomo è cardiologo) berlusconiano. Si diceva, Ulisse, solo un tantino dispiaciuto «di non aver potuto portare a termine un impegno che avevo assunto con cittadini del Molise, vale a dire l'approvazione in Consiglio regionale del Piano sanitario 2008-2010», che non è -diciamo- una pinzellacchera. Ma, per il resto, nessuna protesta. Ulisse, zitto. Una sfinge. Anche perchè aveva intuito che per il Capo si ventilava una fine parlamentare poco misericordiosa; e il primo dei non eletti, il subentrante, finalmente, era lui. E, solo qualche giorno ad agosto, in una intervista al Corriere della Sera che ne annunciava il rientro sulla pelle del proprio Presidente, dichiarava: «Non è questo il percorso che avevo immaginato. Andrei in Senato con amarezza». Amarezza che, però si striava di polemica dopo un attimo di riflessione: «...perché ha privato una regione già piccola, depressa e maltrattata di un seggio, mentre ci sono circoscrizioni che eleggono decine di parlamentari, allora non mi arrivò una telefonata di Berlusconi, né di Alfano. Forse non mi era dovuta una giustificazione, ma dopo anni alla guida del Pdl in Molise mi sarei aspettato un segnale di attenzione, non dico da Berlusconi ma almeno dal partito». E di lì a poco, il partito un segnale, in effetti, lo diede. Più d'uno. Alfano, la sfida dei numeri in Senato, Formigoni che fornisce la lista dei dissidenti, Berlusconi dissidente da sè stesso. Ed è lì che Ulisse tornò ad Itaca, e mandò il suo avvocato Di Pardo, a sostenere con una missiva da Robespierre il suo ingresso senatoriale a discapito del Berlusca, considerato, all'improvviso, uno che «Non ha i requisiti morali per che sono necessari per partecipare alla formazione delle leggi che tutti i cittadini debbono rispettare». Che poi, la storia del rispetto della legge è vera, ma detta da lui imbarazza. A chi gli chiese: «perchè non rinunciare al seggio per solidarizzare col presidente?», Ulisse rispose: «non servirebbe a niente». Mica vero. Servirebbe, oggi, ad Angelino Alfano. Per ricordargli che nella geografia del partito futuro un Ulisse Di Giacomo potrebbe non essere indispensabile... di Francesco Specchia