Saviano e gli Anti-Cav lo ammettono: "Prima facciamo fuori Berlusconi poi riformiamo la giustizia"
Roberto scrive riguardo alle toghe: "Libero il paese dall'anomalia berlusconiana, sarà possibile pensare alla normalità". Anche D'Avanzo lo pensava, ma Ezio Mauro...
Ohi, che sorpresa. «...Che paese sarebbe il nostro se non si conoscessero nemmeno i nomi degli altri magistrati, di quelli che gestivano processi apparentemente meno importanti eppure vitali perché la macchina della giustizia funzioni. Sarebbe certo un paese diverso, molto più simile alla Germania che all'Italia (detto nel senso buono, dell'efficenza teutonica, ndr...)». Il suddetto elogio della magistratura che sgobba, silente, lontano dai riflettori, senza usare la giustizia per scopi personali - più Falcone e meno Ingroia, in buona sostanza - proviene, sorprendentemente, dall'icona giustizialista di Repubblica Saviano Roberto. Il quale, proprio sulle colonne dell'Espresso-Gruppo Repubblica, innalza a cifra di stile l'understatement supremo di Ilda Boccassini; e ne plaude il recente discorso pubblico contro quelle toghe che sfruttano le sentenze e la rinomanza nei tribunali a scopo politico, in una devastante operazione di scardinamento del principio costituzionale della divisione dei poteri. Sembra, il suo, un pezzo di Libero, o del Giornale. Anche se poi Saviano termina la propria invettiva con «libero il paese dall'anomalia berlusconiana, sarà possibile pensare alla normalità». Cioè: la giustizia, così com'è in Italia, non è affatto normale. La qual cosa, ieri mattina, nella rassegna stampa di Radio Radicale ha richiamato il commento aguzzo del direttore Massimo Bordin; che, a sua volta, ha citato una confidenza del compianto Giuseppe D'Avanzo di Repubblica ripresa da Vittorio Zambardino nell'ebook biografico Peppe, pubblicato per una beffa del destino da Repubblica stessa. La confidenza di D'Avanzo, firma pregiata, antiberlusconiano viscerale, braccio armato del quotidiano-partito, era più o meno: «Ora bisogna liberarsi di Berlusconi, ma subito dopo occorre civilizzare la magistratura...». «Civilizzare», occhio. Dalla bocca baffuta del mastino di Procura D'Avanzo, trattasi d'un verbo che scardina certezze. Infatti nessuno, a sinistra, che abbia riportato le frasi che inchiodano una parte dei magistrati alle proprie responsabiltà. Sarà, quello, effettivamente un problema da porsi, «dopo» il Ragnorok berlusconiano (sempre che il Cav, come al solito, non sopravviva...). Peraltro non è un segreto - tra i colleghi del Commissario Davanzoni - che Peppino gli ultimi anni litigasse un giorno sì e l'altro puro col suo direttore Ezio Mauro per la linea politica di appoggio totale a certa magistratura. Linea politica, per inciso, che si sviluppava dai tempi del dossier pubblicato sul quotidiano Il manifesto sulla questione giustizia (tra il maggio e luglio '90, o '91): un documento -piattaforma programmatica che fu preso molto a cuore dagli ultimi comitati centrali Pci/Pds. Si trattava di un report che descriveva a e dettava esattamente i rapporti nascenti tra i magistrati e l'ex Partito comunista -rapporti che prima erano inestistenti-, «una strategia che il Pci-Pds cavalcò. Perché, in quel momento c'era un buco, un vuoto di potere; e c'era un'ideologia di sinistra a cui serviva un partito...»: ci testimoniò un ex pm di Magistratura Democratica che a tutta l'operazione aveva assistito. Il patto Pci-Pds/magistrati è la medesima linea politica che spinse Francesco Cossiga -uno informato- a dichiarare nel 2008 «si prepara il governo dei giudici, Berlusconi cadrà. Cadrà sui processi di Milano e di Napoli. Anzitutto Milano». Et voilà, les jeux sont faits. Giochi (quasi) fatti. Il problema, ora, è che nella strategia del centrosinistra fruitore della longa manus giudiziaria come viatico politico, comincia a serpeggiare il sospetto che quella longa manus sia un arto incontrollabile. Che non sia stata la sinistra ad usare certa magistratura, ma certa magistratura ad usare la sinistra. Dalla (fortunatamente) rovinosa discesa in campo di Ingroia, l'ex magistrato che si vanta del fatto che «io i berlusconiani li ho sempre combattuti sia in tribunale che in politica» alla faccia della terzietà, qualcosa oggi nella percezione della vischiosa figura del magistrato/politico non torna più. E, Berlusconi o meno, siamo solo agli inizi... di Francesco Specchia