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Facci, prove d'intesa con Travaglio sulla giustizia

Facci e Travaglio

Ad Atreju, la firma di Libero e quella del Fatto parlano di un sistema che deve essere cambiato

Andrea Tempestini
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«Perché devo essere tranquillo se a giudicarmi è un magistrato che ha sbagliato?». Ecco, perché? E sì, ci voleva Antonello Piroso, ex direttore del Tg de La7 e oggi direttore editoriale di Blogo.it, per tracciare la linea che interseca il ragionamento di Marco Travaglio e Filippo Facci  sulla giustizia italiana. Che, paradossalmente, non funziona  per nessuna delle tre firme riunite sotto lo stesso tendone da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia e vera anima di Atreju, la festa del Movimento che mira a raccogliere l'eredità di Alleanza Nazionale. E il punto d'intersezione è rappresentato dalla paradigmatica storia  di Enzo Tortora, racconta da Piroso in uno spettacolo e riproposta  all'interno del «processo alla giustizia italiana», istruito dai giovani di Atreju.  «Non un dibattito, ma una parata di ego, dove io ho perso», dice Facci non volendo rinunciare alla  polemica e alla sua cifra professionale. Forse, o forse  no. Perché il confronto delle idee c'è stato eccome. A rappresentare l'accusa tocca a Filippo Facci, editorialista di Libero, che si ritrova a duellare con Travaglio dopo un lungo tempo di rapporti gelidi, «ma  per favore non montiamo ancora il caso, passiamo  oltre», dice la firma di Libero. Che passa davvero al di là dello steccato. «La magistratura, in determinati ambiti, non fa politica», dice il giornalista, «si è solo sostituita alla politica laddove questa non ha fatto il suo mestiere».   Per Travaglio, invece, il problema è proprio la politica che «in 20 anni ha prodotto 110 riforme», ottenendo l'unico risultato di peggiorarla, di «renderla sempre più inefficiente». Può darsi, il problema è che queste presunte riforme nessuno le ha viste e, soprattutto, avvertite. E allora ciò che servirebbe davvero all'Italia è un reset generale, capace di azzerare il rapporto perverso fra magistrati e avvocati, come sostiene Facci, che «produce un danno enorme  all'economia». Insomma, «buttiamo via le riforme fatte negli ultimi venti anni, 110  per l'esattezza», ribadisce Travaglio e ripartiamo da capo. «Ciò che serve davvero», afferma il vicedirettore del Fatto Quotidiano, «è rimettere al centro del dibattito i diritti della vittima». Attenzione però, ci sono anche le toghe: «Per quale ragione - chiede Facci - non è possibile conoscere i nomi dei magistrati puniti dal Csm, perché non c'è questa trasparenza? Forse  perché la magistratura è un'ultracasta, connivente con gli avvocati che hanno provveduto ad allungare a dismisura i tempi della giustizia?».  Sullo sfondo, ovviamente, c'è l'ombra di Berlusconi, al quale  non vengono fatti sconti. «Il Cavaliere ai tavoli dei radicali per firmare i referendum», dice Facci, «è la dimostrazione che la sua politica sulla giustizia è stato un vero fallimento».  Ancor più diretto Travaglio. «Io non sono la difesa della magistratura, intesa come insieme di 9mila persone, ne conosco molti che non meritano nessuna difesa», dice l'editorialista del Fatto, «essendo  una corporazione molto solidale. Però ci sono numerosi casi di magistrati indagati da altri magistrati, mentre i politici si coprono fra loro». Però un punto resta in sospeso: «Solo in Italia i magistrati non possono fare politica», dice Travaglio». E non torna anche un'altra questione. Per Travaglio «la politica, in questi anni, ha volutamente reso inefficiente la giustizia, visto che colpiva i  politici». Ovvero come leggere il caso Berlusconi da sinistra, colpevole di aver colpevolizzato le toghe. Infine il presidente dell'Anm, Rodolfo Sabelli, ha  difeso a spada tratta il lavoro delle toghe. Già, ma Tortora pesa ancora: «È  avvenuto 30 anni fa con un  codice vecchio». Vero, ma gli errori di allora sono sempre gli stessi di oggi. di Enrico Paoli

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