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Vitaliano Esposito va al marenello stabilimento abusivo

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Peppe Rinaldi
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E se fosse un magistrato a «non poter non sapere»? Sembra facile, ma il tema è insidioso. La storia del «non poteva non sapere» a volte va oltre il classico boomerang che ti colpisce in fronte. La civiltà giuridica è uscita con le ossa rotte da quando in decreti, ordinanze e sentenze ha iniziato a far capolino il contrario dei principi universali, come la personalità della responsabilità penale, la condanna assistita da prove certe al di là di ogni ragionevole dubbio, l'habeas corpus, etc. In realtà, sappiamo com'è andata e ad opera di chi. Ora, se un procuratore generale della Corte di cassazione, cioè il massimo rappresentante della magistratura requirente, frequenta una struttura turistica illegale, come la mettiamo? Se questo stesso alto magistrato, per il sol fatto di esserci sul luogo «incriminato», mette i piedi nella tipica pozzanghera all'italiana, fatta di politica locale, assessori, sindaci, imprenditori amici e nemici, Tar, procure amiche e nemiche, uffici tecnici e geometri comunali, cosa si fa? Nell'Italia del sospetto come anticamera della verità, delle persone sbattute in carcere o alla gogna per molto meno, una cosa così avrebbe un peso enorme: a seconda di quale lato della scrivania si occupi, ovviamente. Nel caso nostro sarà senz'altro la «macchina del fango» a regime.  Nelle foto si vede l'ex (da poco) procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito. È al mare, in un lido che frequenta abitualmente ad Agropoli, porta del Cilento. Stiamo parlando di un magistrato di lungo corso, autore, tra altro, di un'interessante requisitoria nel procedimento di incolpazione al Csm di De Magistris, che aiutò a capire meglio gli epici bluff calabresi dell'ex pm. Esposito, però, non è (anche) solo il magistrato delegato dal governo Monti alla verifica del rispetto delle prescrizioni contenute nella famosa Via (Valutazione di impatto ambientale) per l'Ilva di Taranto e che, poco tempo fa, è stato fatto fuori con una manovra politica (legittima, almeno finora) che gli ha tolto di botto incarico e 220mila euro di parcella. È anche fratello di Antonio Esposito e padre di Andreana, giudice alla Corte europea di Strasburgo (e zio del pm con Porsche amico di Nicole Minetti). Se applicassimo al germano maggiore dell'ultimo - in ordine di tempo - carnefice del Cav, la stessa logica che pare abbia presieduto la sentenza Mediaset, secondo quanto letto nell'intervista al Mattino, scatterebbero analoghe censure: non è che uno non possa non sapere, può anche non sapere nonostante sia il capo. Ma se Tizio, Caio e Sempronio lo informano allora il discorso cambia: cioè sa e, dunque, partecipa o avalla. Ora, se da anni non si parla d'altro in città e provincia, oltre che su stampa, tv, rete e social network, cioè che per il «Lido Oasi» (non l'unico) ci sono ordinanze di abbattimento, tra l'altro mai eseguite, indagini e/o processi su amministratori e tecnici per irrituali delibere di sdemanializzazione dell'area (al posto del lido avrebbe dovuto esserci una piazza pubblica e l'albergo annesso non doveva nascere e men che meno lo si poteva trasformare in una scuola) pronunce del Tar in un senso e nell'altro, perizie e controperizie che obbligherebbero a buttar giù le strutture abusive, che cosa significa? Che uno degli uomini che incarnano ai massimi livelli i famosi «presidi di legalità» va a braccetto con l'illegalità? Ovviamente no. Anche se sembra.

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