Camera, la Boldrini rifà la cancelleria: chiamatela "la" presidente
La carta intestata recita: "Il presidente della Camera". Lady Sel la manda al macero per ristamparla al femminile
Avrà anche l'approvazione dell'Accademia della Crusca e di quella dei Lincei, oltre che della Società Dante Alighieri; però lei: lady Laura B., terza carica dello Stato, poteva anche sorvolare sulla frivolezza. Ed evitare di far finire nel pattume, come segno di eterna vittoria del privilegio sulla spending review, chili e chili di carta intestata. Tutto perché lei, la signora eletta cinque mesi fa come simbolo della stagione del rigore che avrebbe dovuto cambiare il vento, è “la” presidente. E non “il” presidente della Camera. Come, prima di lei, lo sono stati Fini, Bertinotti, Casini, Violante. E anche Irene Pivetti, che a differenza di Laura Boldrini, teneva a farsi chiamare “il” presidente. E in totale coerenza, non si è preoccupata di sostituire la carta intestata. «Essendo un termine neutro e ambigenere, non ho considerato un problema presentarmi come “il” presidente della Camera», dice oggi Irene Pivetti, «se è vero che Laura Boldrini ha eliminato la vecchia carta, ha sbagliato. Avrebbe potuto tenerla, evitando a chi verrà dopo di lei, di dover ricomprare altre risme e rifare tutto». Invece no. “La” terza carica dello Stato, per alcuni «Schizzinosa», per altri «Radical chic» e anche «Sprecona», in cinque mesi di alto scranno, non ha dimostrato di essere (come andava proclamandosi) l'emblema della nuova sobrietà. Quattro milioni di euro per il nuovo sito, per esempio. Chi ha pensato potesse essere il pretesto per inviare qualche e-mail in più e risparmiare sulla carta, ha sbagliato di grosso. Hai voglia Francesco Storace che scrive alla segreteria generale per «fare piena luce sula vicenda». Niente da fare: la signora che doveva essere la chiave anti-casta in tempo di crisi, le sue rimostranze ai deputati che in aula non si comportano secondo lo stile a “lei” consono, preferisce stamparle sulla nuove lettere personalizzate. È successo col deputato della Lega Nord, Gianluca Buonanno, redarguito con missiva di censura per essere stato polemico nei confronti della presidente e per avere usato (a detta di lei) un «linguaggio sconveniente nel dibattito parlamentare». Gianluca Buonanno si indigna: «Quando ho ricevuto la lettera di censura della Boldrini, sono rimasto di sale nel leggere l'intestazione. È una questione di principio: la signora doveva consumare la carta già disponibile prima di acquistarne altra nuova, per autodedicarsela. I problemi sono altri: a cominciare dal fatto che dovrebbe ricoprire la carica che rappresenta nel segno, se non del risparmio, almeno evitando inutili sprechi. E poi io sarei il maleducato, solo perché la invito a lavorare e manzonianamente la definisco donna Prassede». Anche i più illustri linguisti come Luca Serianni e Giovanni Gobber, spiegano che «nonostante possa suonare ironico l'uso di termini volti al femminile, come: “l'avvocata” “la magistrata” o “l'assessora”, la cosa non costituisce errore. Perché la lingua flette una condizione. E oggi molte donne ricoprono ruoli un tempo rivestiti dagli uomini. Dire la presidente è dunque linguisticamente corretto», sottolinea Luca Serianni. «Va benissimo, il nome (che viene da un participio) sfrutta una possibilità che l'italiano dà. Ma nel caso della Boldrini, c'era proprio bisogno della targa?», aggiunge e si chiede Giovanni Gobber. Evidentemente Laura ne aveva bisogno. Alla faccia dei costi di Montecitorio che continuano a lievitare. Nei primi sei mesi del 2013 la spesa è aumentata di quattro milioni rispetto al 2012. Stando ai dati del sistema informativo contabile della Camera dei deputati, da inizio anno a giungo, il bilancio si è chiuso con un conto di 110 milioni (109.809.654,17), lo stesso semestre del 2012 si era fermato a 105. Del resto non si rinuncia ad alcun privilegio: per i deputati divani griffati, servizi fotografici, corsi d'inglese (puntualmente disertati). E poi le pulizie: quelle sono già costate mezzo milione; le spese mediche toccano invece 200 mila euro al mese. Alcune voci di spesa certificano che i soldi volano fuori dalle finestre della Camera e che la casta gode ancora di ottima salute. Chi fosse scettico in proposito, può dare un'occhiata al conto degli acquisti librari (836 mila euro) e a quello di gestione: 2,4 milioni, non mancano preziosi lavori di rilegatura da 37 mila euro. La passione bibliofila dei nostri politici può sembrare bizzarra, ma mai come quella dei corsi d' informatica totalmente inefficaci sui signori deputati; eppure sono già costati 180 mila euro. Sarà per questo che “la” presidente, tra il «soporifero» e lo «schizzinoso» come da destra a sinistra dicono, preferisce la carta a “lei” medesima dedicata? di Cristiana Lodi