I ministri aggirano la "trasparenza"On line i loro patrimoni ma non quelli delle consorti
Dall'inchiesta dell'Espresso risulta che undici membri del governo Letta hanno fatto ricorso allo "scudo" pur di non rivelare i redditi dei familiari
La tanto acclamata "casa di vetro" necessita di una bella pulita ai cristalli. E sì, perchè la grande "operazione trasparenza", varata da Mario Monti ma realizzata sotto il governo Letta, per quel che riguarda la pubblicazione on line dei redditi, almeno a livello di governo, lascia un po' a desiderare. Lo dimostra l'inchiesta dell'Espresso: obbligati a pubblicare i propri redditi dal decreto varato a marzo da Monti in limine mortis del suo governo, 11 ministri su 21 hanno optato per la versione light della norma. Si sono limitati infatti, a dar conto dei propri stipendi, proprietà, titoli, partecipazioni in società, quote azionarie. Ma hanno evitato accuratamente di mettere in rete, invece, gli introiti e i possedimenti che riguardano il coniuge, e tutti i parenti fino al secondo grado. La norma, spiega l'Espresso, in effetti, stabilisce che dovrebbero essere pubblici anche proventi e proprietà di questi ultimi, ma solo "ove gli stessi vi consentano". E il consenso, per i parenti di undici ministri su ventuno, è stato negato. Come risulta dai dati raccolti da Openpolis per l'Espresso. Enrico Letta, precisissimo, mette in rete tutte le dichiarazioni del caso, da cui si desume che guadagna 125 mila euro e non possiede case, auto, barche, quote azionarie, imprese, insomma alcunché. Ma poi, l'ultimo rigo della dichiarazione rimanda al link del famoso scudo: "Il sottoscritto on.le Enrico Letta, nella qualità di presidente del consiglio dei ministri, dichiara che la moglie Gianna Fregonara, i genitori Giorgio Letta e Anna Banchi, il fratello Vincenzo Letta, non hanno dato il consenso alla pubblicazione della dichiarazione patrimoniale e della dichiarazione dei redditi". Toccherà dunque solo supporre, fa notare l'Espresso, che, per esempio, la casa a Testaccio in cui vive, così come l'auto con la quale si è recato da Napolitano per accettare il mandato di premier, siano proprietà della moglie, giornalista del Corriere della Sera. Stessa situazione per Angelino Alfano, ma fa notare l'Espresso la circostanza è curiosa poiché della signora Alfano, Tiziana Miceli, avvocato civile ad Agrigento, si sa da anni che guadagna più del marito (229 mila euro contro i 168 di lui, nel 2010), e che possiede fra l'altro un appartamento di 11 vani nel centro di Palermo e vari terreni a Sant'Angelo Muxaro: e tutto questo si sa perché in passato è stato proprio Alfano ad allegare volontariamente da parlamentare la dichiarazione dei redditi della moglie alla propria. Anche il ministro dell'Integrazione Cecile Kyenge fa ricorso allo scudo, così come il Ministro degli Affari Regionali Domenico Delrio, riguardo a sua moglie Anna Maria Grassi, ai cinque figli, tutti maggiorenni, e la sorella. Pure il titolare degli Affari Europei, Enzo Moavero, il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi tirano in ballo il non consenso per non pubblicare i redditi dei congiunti. Annamaria Cancellieri invece, nel pur lunghissimo e dettagliato elenco degli appartamenti di sua proprietà, ha saltato il passaggio burocratico della dichiarazione di negazione del consenso da parte del marito. Il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni, alla fine, dopo qualche articolo contro di lui, ha messo online la dichiarazione dei redditi congiunta (sua e della moglie), ma non quella degli altri parenti.