Bechis: la strana matematica di Tinti, il pm di Travaglio
Bruno Tinti è uno di quelli che non le manda a dire. Non lo faceva quando era Pm, e si capisce che lì aveva il coltello dalla parte del manico. Non le manda a dire nemmeno ora che ha scoperto due seconde professioni in una: la prima da editore, dato che Marco Travaglio lo ha coinvolto nell'azionariato dell'editoriale Il Fatto quotidiano. La seconda da editorialista, visto che sullo stesso Fatto pubblica vibranti commenti. Quello di ieri, benché relegato a pagina 22, sotto l'occhiello «calcoli elementari» se la prendeva con i parlamentari di Guglielmo Epifani, offrendo loro una piccola lezione su come usare la calcolatrice. Il titolo era: «Caro Pd, sull'Imu impara a contare». Scopo della polemica, ovviamente quello di chiedere ai democratici di abbandonare l'idea di togliere l'Imu sulla prima casa, primo perché farebbero solo un favore al condannato Silvio Berlusconi, secondo perché poi secondo lui alla gente non frega nulla di pagare l'Imu. Per dimostrarlo sale in cattedra e invece di dare lezioni di diritto - che deve avere pure studiato prima di fare il pm - veste i panni da prof di matematica che certamente non gli sono propri. Spiega che 5 milioni di italiani pagano in media 187 euro di Imu. Poi fa la moltiplicazione alla Tinti: «gettito 5 milioni di euro». In realtà farebbero 930 milioni di più, cioè poco meno di un miliardo. Ma al Pd evidentemente Tinti vuole dare lezioni di nuova matematica. E infatti insiste. Spiega che altri 7,5 milioni di italiani pagano in media 195 euro. E fa la sua moltiplicazione: «gettito 7,5 milioni di euro». Anche qui la matematica tradizionale - quella che ostinatamente il Pd persegue nell'orribile inciucio con Berlusconi - darebbe come risultato un miliardo e 462,5 milioni di euro, e la differenza non è da poco per le casse dello Stato. Ma guai a disturbare il Tinti calcolatore. Che insiste e sbaglia le moltiplicazioni ben altre 4 volte. Errori tanto marchiani che a seguire i calcoli del prof Tinti mentre dà lezioni di matematica al Pd, l'incasso totale dell'Imu sarebbe inferiore a 18 milioni di euro, e ogni contribuente italiano pagherebbe per la casa di proprietà un euro. Fosse così Letta l'avrebbe abolita già il suo primo giorno a palazzo Chigi. Naturalmente così non è e forse prima di avventurarsi in polemiche così vibranti con risultati che sfiorano il grottesco, il prof Tinti avrebbe bisogno di qualche corso intensivo di matematica. Se non vuole chiedere a una maestra di prima elementare, che qualche ripetizione gli darebbe non emettendo fattura e alimentando l'evasione fiscale, Tinti può ben chiedere gratis allo stesso Pd, dove sarebbero felici di dargliele gratis maestri renziani o cuperliani o di qualsiasi altra corrente pur di irrobustire la vis polemica del Fatto contro Epifani. Intanto che c'è, Tinti potrebbe chiedere qualche ripasso dei fondamenti di finanza pubblica. Perché sembra zoppicare pure in quelli. Scrive infatti Tinti che «senza Imu Regioni e Comuni istituirebbero subito una addizionale IRPEF che si spalmerebbe su tutti in maniera non progressiva». Ecco, andando a lezione dal Pd prima di dare loro lezione, il prof. Tinti apprenderebbe che le Regioni non hanno mai incassato un centesimo di Imu o di Ici in vita loro. Semmai l'hanno pagata e la pagano essendo proprietari di immobili. Quanto ai comuni, l'altro anno dell'Imu hanno incassato le briciole, perché il grosso della torta se l'è preso Mario Monti per lo Stato centrale. I comuni non hanno avuto danni, perché la prima casa era esentasse dal 2008 e quindi non incassavano un cent. Abolire l'Imu nel 2013 dunque è un problema per le casse statali, non per quelle dei Comuni, che l'avrebbero ricevuta per la prima volta, però con analogo taglio dei trasferimenti diretti dallo Stato. Ora per abolire quella tassa bisogna appunto che lo Stato, e non i comuni, trovi la copertura. Ed è quella che appunto cercano da mesi Enrico Letta e il suo ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni. Mentre il distratto prof Tinti preparava la lezione dimenticandosi prima di passare a ripetizione. di Franco Bechis