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Scalfari contro Libero: "Vilipende il Colle"

Eugenio Scalfari

Andrea Tempestini
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Nella consueta filippica domenicale, il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, spara ad alzo zero contro Silvio Berlusconi, il Pdl e i suoi elettori, bollati come un popolo di evasori fiscali, di ferventi anti-Stato e, in definitiva, come senza cervello: senza il Cav, elettori e partito, resterebbero "acefali". Barbapapà, però, insulta anche noi di Libero, che giocheremmo "a palla con le istituzioni", che saremmo "anarcoidi di infima qualità". Il motivo? Aver parlato della grazia a Silvio Berlusconi: Scalfari si spinge fino a ipotizzare il vilipendio al Colle. Il precedente - Accuse pesantissime, soprattutto se chi le mette nero su bianco, nel suo recente passato, si scagliò con ferocia proprio contro un presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, capo dello Stato dal 1985 al 1992. Siamo nel 2002, e in un articolo su L'Espresso dal titolo "Il labirinto di Francesco Cossiga", Scalfari scriveva che da quando fu trovato il cadavere di Aldo Moro "la persona Cossiga, la sua mente, i suoi fasci neuronali, l'anima sua o comunque la si voglia chiamare sono stati come incendiati, sconvolti, fulminati da una corrente di eccezionale intensità".  L'esplosione - La morte di Moro, bene ricordarlo, avvenne nel 1978. La mente di Cossiga, per Barbapapà, fu insomma sconvolta ben prima della sua ascesa al Colle. Della presidenza, nel medesimo articolo, Scalfari ricorda: "Esplose al quinto anno della sua permanenza al Quirinale. Annunciò che da quel momento in poi si sarebbe tolto i sassolini che aveva nelle scarpe (ma quali?) e che gli impedivano di camminare spedito. Si mise all'opera con il fervore e l'empito di chi aveva deciso di combattere contro un'oppressione ignota, contro un fantasma che gli rubava il tempo e il respiro. Si dette il nome di Picconatore e menò fendenti in tutte le direzioni, risparmiando soltanto i servizi segreti e l'Arma dei Carabinieri quasi che fossero queste le sole forze che potevano difendere la sua incolumità psicologica". Dopo la morte - Il fondatore di Repubblica dipingeva il ritratto di un Cossiga a caccia di fantasmi, di un uomo che si toglieva fantomatici sassolini dalla scarpa ("ma quali?"). Se ancora il pensiero di Scalfari non fosse chiaro, ecco che viene sciolto nell'editoriale pubblicato su Repubblica il 18 agosto 2010, il giorno dopo la morte del "picconatore". Barbapapà scrive: "Un uomo di grande intelligenza appoggiata tuttavia ad una piattaforma psichica del tutto instabile, come ha potuto percorrere una carriera politica di quel livello? Come ha potuto essere scelto quattro volte per incarichi di massimo livello politico e istituzionale non avendo alle sue spalle una corrente che lo sostenesse in una Dc che sulle correnti ci viveva?". Il fondatore di Repubblica, senza giri di parole ("piattaforma psichica del tutto instabile") dà del folle all'ex presidente della Repubblica, un folle al Quirinale. Infatti Barbapapà si chiede come abbia potuto ricoprire certi incarichi istituzionali. Chi vilipende chi? - La critica entra poi nel vivo del settennato di Cossiga: "Naturalmente nelle fasi euforiche del suo male l'istinto del Narciso prendeva il sopravvento su ogni altra considerazione. I due ultimi anni del suo settennato al Quirinale furono dominati dal narcisismo. I giornali davano quasi quotidianamente la prima pagina alle sue sortite, ai suoi discorsi, ai sassolini che si toglieva dalle scarpe, ai colpi di piccone che assestava all'ordinamento costituzionale". Forse Scalfari, rileggendo quanto lui stesso ha scritto negli ultimi anni, dovrebbe riflettere su chi ha vilipeso chi, e dovrebbe riflettere sull'accusa rivolta a Libero, quella di vilipendere il Colle.

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