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Mora velino ingratoFango su Berlusconi

Lele Mora

Ennesima giravolta dell'ex manager dei tronisti: per salvarsi davanti ai giudici parla di "dismisura e abuso di potere" alle cene del Cav. Poi davanti ai cronisti: "Parlavo di me, Silvio è un amico"

Francesco Specchia
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Con che faccia. Con che faccia (faccia gonfia, con zigomo floscio, disarmata dall'arroganza del potere. Direi faccia di tolla) Dario Mora un tempo detto «Lele», ieri, prima, davanti ai giudici del Rubygate, declamava che ad Arcore c'era «dismisura, abuso di potere, degrado» e subito dopo, dinnanzi alla libera stampa ritrattava: «Ad Arcore non c'è stato niente di male, Berlusconi è un amico...» e figuriamoci i nemici? Con che faccia, tornato dalle bianchissime tuniche costasmeraldesi al grigiore stazzonato del blazer degli esordi veronesi, Dario Mora è riuscito, ieri, nell'arco di dieci minuti a rinnegare, nell'ordine: sè stesso; gli amici che per decenni l'avevano - colpevolmente - foraggiato; il suo mondo di starlette, di effimero ai limiti della morale, di eccessi da procedura fallimentare? Ora, al di là dell'aspetto etico delle cosiddette «cene eleganti» -su cui si può discutere ma sono comunque fatti di Berlusconi e comunque ci sono processi e appelli in corso -  quando Mora, a proposito del Rubygate legge in aula il suo incredibile mea culpa citando Beppe D'Avanzo arcinemico di Berlusconi; be', la prima impressione non è quella della tristezza infinita. Quella, semmai, è la seconda. La prima è l'evocazione dell'ingratitudine degli Ateniesi verso Milziade; di San Pietro che anticipa il canto del gallo; nella rielaborazione del concetto d'infamia negli scritti di Leonardo Sciascia.  L'impressione di un «velino ingrato», come questo giornale scrisse per Veronica Lario. Ma nel caso di Veronica si trattava pur sempre di una moglie ferita attraverso l'accumulo di sesso e tradimenti. Qui, invece, quando Mora dichiara: «È vero che andavo alle cene con Fede, è vero che ho accompagnato ad Arcore alcune ragazze ma non le ho mai volute condizionare ed é vero che ho avuto tramite Fede un prestito dall'onorevole Berlusconi» e «sono stato un passivo concorrente, oggi non voglio più mangiare cibo avariato...»; be' ti viene in mente che quando Lele guidava i Suv per accompagnare le sue ospiti ad Arcore nelle notti di luna piena, l'opportunismo era sempre stato il primo piatto di quel desco. «Piatto avariato», s'intende. E che quando, spalle alla corte, lo stesso Mora dichiara ai cronisti: «La prostituzione ad Arcore non c'è mai stata. L'amicizia non è una cosa che uno ti dà, ma si sceglie. Se ho scelto di avere un amico come Berlusconi che ancora credo sia tale e che rispetto, sono orgoglioso di andare a cena da lui se mi invita. Non è uno che fa prostituire la gente. Allora, io che lavoro ho fatto per 35 anni, il magnaccia?» , be', hai la sensazione che si tratti di una domanda retorica. Come hai la sensazione che le giravolte morali, testimoniali, processuali in questo Rubygate sono parte di una liturgia. Certo, magari sono sensazioni, piccoli sussulti  incondizionati, di noi piccoloborghesi. Quando l'avvocato di Mora, Giovanni Maris afferma: «Il compito di Mora era rendere famose le sue clienti, esporle, portarle sul palcoscenico di Arcore. Le ambizioni e gli obiettivi di vita di queste ragazze sono evidenti a tutti. Quelle che potevano arrossire durante la serata si contano sulle dita di una mano...» ha ragione. Mora, come molti altri Tarantini qualsiasi, si era ritagliato dei compiti faticosi e  ingrati. Allegri - lo champagne, i trenini, pepperepepeppeè - ma ingrati. Epperò, in cambio, ne stava ottenendo una piccola rinascita: il telefono riacceso, qualche contrattino con artisti seppur minori, il «mantenere il giro...». Ma hai voglia, a dire che 400 giorni di galera inducono a riflettere.  «In carcere ho avuto modo di pensare». Mora aveva pensato tanto da sfondare i blocchi stradali della Val Ferret su un Suv fornito di accompagnatori arrogantelli (come ai vecchi tempi). Aveva riflettuto a sufficienza da farsi segnalare dall'alto per lavorare con i programmi Mediaset attraverso la società intestata ai due figli. Trattava lui, per dire, le interviste radiofoniche a Silvio Berlusconi durante l'ultima campagna elettorale. E ieri, eccoti il velino ingrato. Che, per inciso, per il Berlusca, non è il primo e non sarà l'ultimo. Mia nonna diceva sempre: stai con chi è meglio di te, e fanne le spese. Sulla seconda parte ci siamo; sulla prima bisogna lavorarci... di Francesco Specchia

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