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La Kyenge difende la rabbia degli immigrati

Cécile Kyenge

Fausto Carioti
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Che ministro è quello che si rivolge ai cittadini di un altro Paese dicendo che le leggi italiane sono ingiuste, che «la rabbia» di chi si oppone ad esse è giustificata, che dispensa illusioni ai figli degli immigrati dotandoli di una cittadinanza farlocca, sterile per chi la riceve, ma utile strumento di propaganda per i politici che l'assegnano? È Cécile Kyenge, deputato del Pd e ministro per l'Integrazione del governo Letta. La signora si è messa a cavalcare l'ultima pagliacciata degli amministratori di sinistra: la concessione della cittadinanza onoraria ai figli degli immigrati nati in Italia. Per questo motivo l'altro giorno il ministro era a Pesaro (sindaco Luca Ceriscioli, Pd) e ieri è intervenuta con un messaggio alla cerimonia organizzata dal primo cittadino di Perugia Wladimiro Boccali (anch'egli piddino). Pochi giorni prima, senza di lei, la stessa cosa era stata fatta a Savona (dove il sindaco è Federico Berruti, Pd) e a Rieti (Simone Petrangeli, Sel). Per inciso: l'iniziativa è promossa dall'Unicef, il fondo delle Nazioni Unite noto alle cronache per spendere gran parte del proprio budget in stipendi e consulenze e per la scellerata politica di disincentivare le adozioni internazionali, che si traduce in più elevati tassi di mortalità tra gli infanti del terzo mondo.  Il nome di qualche centinaio di bambini nati da famiglie immigrate è stato così  iscritto nei registri municipali «delle cittadinanze onorarie ius soli», creati per l'occasione. È cambiato qualcosa per loro o per i loro genitori? Assolutamente nulla. Queste cerimonie con foto dei bambini sorridenti accanto al ministro e ai sindaci lasciano invariato lo status giuridico, ma in compenso diffondono nei piccoli immigrati e nelle rispettive famiglie l'idea che la cittadinanza non sia un privilegio da ottenere in cambio di qualcosa (la dimostrazione di essersi integrati nella società italiana, comprendere la nostra lingua e accettarne le leggi e i valori e altri requisiti del genere), ma una cosa dovuta, un diritto da acquisire in modo facile e automatico. Idea legittima, che però appartiene solo alla sinistra della signora Kyenge (si oppongono sia il Pdl che il M5S), uscita non esattamente vincitrice dalle elezioni.  Il ministro però non sembra né porsi simili problemi (la notte del 26 febbraio deve essersi persa i risultati del voto) né avere particolari pudori istituzionali. Tramite il sindaco di Perugia ieri ha inviato un messaggio direttamente ai bambini che hanno ricevuto la cittadinanza tarocca e alle loro famiglie. «Posso comprendere i vostri turbamenti: la fatica di far valere un'identità complessa, la difficoltà di stare in bilico tra più mondi, di fronteggiare una burocrazia non sempre amichevole. Intuisco la rabbia che a volte vi prende per non essere considerati italiani, pur sentendovi tali». E in effetti nel caravanserraglio della politica italiana mancava un esponente del governo che usasse toni giustificazionisti verso chi nutre rabbia contro il nostro ordinamento: lacuna che la signora Kyenge ha provveduto a colmare. Il presidente della Camera, Laura Boldrini, ha benedetto anch'ella l'iniziativa perugina con un proprio messaggio, ma il senso delle istituzioni le ha sconsigliato di usare parole simili a quelle della Kyenge. Ovviamente il ministro di origini congolesi difende l'alto significato morale e pedagogico delle patacche conferenti la finta italianità. «La cittadinanza simbolica ha un forte valore di sensibilizzazione», sostiene la Kyenge. Sensibilizzare chi? Lei ritiene che debbano essere sensibilizzati gli italiani egoisti e crudeli che non intendono applicare lo ius soli. Ma il voto di fine febbraio ha dato una risposta chiara alle pretese di cittadinanza facile che spiccavano nel programma della coalizione di sinistra. Se la signora intende dedicare il proprio mandato ministeriale al lavaggio del cervello degli italiani, anziché al rispetto delle indicazioni ricevute dagli elettori, un governo a metà con il centrodestra non è quello che fa per lei.  di Fausto Carioti

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