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Le lezioni al veleno di Travaglio tra gogna mediatica e topi di fogna

Marco Travaglio

Il vicedirettore del Fatto attacca Libero sulla vicenda degli hacker, aggrappandosi alla privacy

Eliana Giusto
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di Francesco Borgonovo   Ieri sulla prima pagina del Fatto è comparso un editoriale di Marco Travaglio sobriamente intitolato «Topi di fogna», epiteto insolitamente raffinato persino per il nostro vicequestore preferito, noto ai più per lo stile british. Travaglio ce l'aveva con i sedicenti «hacker del Pd» che nei giorni scorsi hanno violato le email di alcuni parlamentari del Movimento Cinque stelle, sbattendo sul web la loro corrispondenza privata, comprensiva di discussioni politiche interne e pure di fotografie che ritraggono le loro vittime in atteggiamenti intimi. Fin qui, tutto comprensibile. Questo genere di violazione della privacy è spregevole, specie se riguarda la più profonda intimità delle persone, che nulla ha a che fare con le squallide rappresaglie di partito. Però Travaglio ha allargato il tiro, sostenendo che i topi di fogna suddetti hanno dei complici fra i giornalisti. Faceva riferimento ad alcuni cronisti del Corriere della Sera. Ma non ha trascurato neppure Libero.   Con un innaturale slancio di cortesia, Marco ha precisato che «il giornale di Belpietro si dimostra addirittura più corretto, o meno scorretto, di quello di De Bortoli». Troppa grazia. Peccato che Travaglio proprio non ce la faccia a riconoscere che il lavoro del nostro Matteo Pandini - autore degli articoli sul caso degli hacker - è stato irreprensibile. No, deve per forza trovare un modo per darci addosso e avvicinarci alla categoria fognaria con cui è inviperito. Sostiene, il caro Marco, che siamo artefici di un falso: «Un enorme disegno che mi ritrae vestito da postino mentre consegno a Beppe Grillo una busta con la scritta: “Raccomandati”. Titolo: “Anche Travaglio finisce nella Grilloleaks”». Secondo lui «è tutto falso: (...) non ho mai raccomandato nessuno, tantomeno a Grillo». Beh, allora citiamo quanto ha detto a Libero, che ha avuto la premura di chiamarlo. Nell'intervista rilasciata a Pandini, Marco spiega di aver inviato a Giulia Sarti, una delle parlamentari grilline coinvolte nella vicenda, «una mail con alcuni curricula di collaboratori da sottoporre al M5s. Un favore chiestomi da Pardi». A casa nostra, si tratta di raccomandazione. Mica c'è niente di male, Travaglio faccia pure quel che gli pare. E infatti, nel suo pezzo, Pandini specificava: «Non ci sono ombre di alcun tipo». Quanto alla nostra vignetta, si trattava della rappresentazione satirica di quanto il vicedirettore del Fatto ci aveva dichiarato. E dire che lui, con la satira, dovrebbe avere qualche dimestichezza, visto che la utilizza come scudo appena  scrive qualcosa di pesante. Nonostante ciò, l'amico Marco s'indigna per la caricatura di Benny. Per concludere in bellezza, Travaglio - prigioniero della sua ossessione antiberlusconiana - se la prende anche col Cavaliere e con «i custodi della privacy a targhe alterne» e «le vestali della sacralità del Parlamento a seconda delle convenienze». Bene, gli facciamo notare due piccoli particolari. Intanto, a parlare per primo di hacker del Pd e a diffonderne l'indirizzo web (da cui si poteva risalire alle mail rubate) è stato l'Espresso. Cioè il settimanale per cui scrive Marcolino. Quanto alla privacy, poi, il Commissario Travaglioni potrebbe evitare di strapparsi i capelli, ché già gliene restano pochini. Il Fatto ha campato per anni pubblicando intercettazioni, pettegolezzi e sputtanamenti vari ai danni dei nemici politici. Tra i quali ci piace ricordare la presunta conversazione in cui Berlusconi avrebbe definito Angela Merkel «culona inchiavabile». La frase ha fatto il giro del mondo, peccato solo che l'intercettazione non sia mai uscita. Non risulta da nessuna parte, ma chissenefrega. Il Fatto l'ha sbattuta in prima pagina. Questo sì che è giornalismo. Travaglio ci spedisce nella fogna. Intanto, con la gogna si diverte come un pazzo.   

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