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Il delirio di Saviano: la galera? Una medaglia politica

Lo scrittore e la teoria della galera volontaria: Il carcere è un "passaggio fondamentale" in politica

Matteo Legnani
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di Mario Giordano In galera, in galera. Come il gerarca Catenacci di Alto Gradimento, Roberto Saviano ha lanciato la sua nuova parola d'ordine: la cella fa bene, il carcere vi rimette in forza, la prigione è meglio di un soggiorno alla beauty farm. Venghino signori venghino: il trattamento di remise en forme col cielo a scacchi è particolarmente suggerito per i potenti di ogni razza e specie. Vi sentite provati? In galera. Vi sentite criticati? In galera. Se qualcuno vi attacca non provate a difendervi, per carità: potrebbe nuocere gravemente alla salute. Ascoltate l'uomo di Gomorra: fatevi immediatamente incarcerare.  Un paio di manette, branda, sbobba, ora d'aria e grate alle finestre: solo così  il potente può sperare «di redimersi», solo così (forse) si può azzerare il «rancore nei suoi confronti». Un ergastolo e via, chi ci pensa più: per essere accettati (idealmente) nei salotti bene d'ora in avanti sarà d'obbligo mostrare il certificato di residenza a Sing Sing. Non è uno scherzo, lo giuro: Saviano l'ha scritto davvero. È un editoriale sull'Espresso, una pagina intera per esaltare le virtù delle patrie galere, partendo dall'esempio di Nicola Cosentino e Totò Cuffaro che essendo uomini del Sud (riassumo) sanno che il carcere è «un prezzo da pagare», un «passaggio fondamentale». A differenza di Craxi e Berlusconi che invece, essendo uomini del Nord, si ostinano ad amare la libertà, sciagurati che non sono altro: uno pur di non accettare il trattamento «cella&seibella» se n'è andato ad Hammamet fin quando è morto (lo vedi che la libertà fa male). L'altro non ha ancora capito che per dimostrare di essere davvero bravo non basta aver cambiato l'edilizia, la televisione, la politica e lo sport, non basta aver dato vita a un grande gruppo editoriale, a un partito e  a una squadra che ha vinto più titoli di chiunque altro al mondo. Macché: deve passare per il metodo Alcatraz. Un ceppo al piede, e ti senti subito un grande. Non è uno scherzo, lo giuro: Saviano l'ha scritto davvero.  Si badi bene: non si parla di reati. Nella tesi dello scrittore non conta quello che uno ha fatto o non fatto, non conta se uno sia colpevole o innocente, nella distorta visione di Gomorra  l'esistenza di eventuali delitti e/o responsabilità è questione marginale. Quello che conta è la galera. La prigione. Assassino o immacolato, quello che conta è se uno «sa gestire il carcere», e cioè (riassumo) se sa gestire «i rapporti con i detenuti» e con le guardie carcerarie, «contenere la claustrofobia», «astenersi dal sesso e dalle comunicazioni». Ecco: se uno sa contenere la claustrofobia e sa astenersi dal ciulare,  se cioè sa stare in carcere senza impazzire, d'improvviso diventa un uomo di responsabilità, un uomo di potere. Diventa uno capace di incidere sulle cose.  Perché Craxi non s'è fatto seppellire in cella? Perché non si fa seppellire nemmeno Berlusconi? Semplice: perché non sono abbastanza  forti, non sono veri potenti, a differenza di Cosentino e Cuffaro. Non è uno scherzo, lo giuro: Saviano l'ha scritto davvero. Gli è mancato solo il colpo d'ala finale, allo scrittore che piace alla gente che piace, gli è mancato di trarre le conseguenze e dare il consiglio giusto per la formazione del governo: se questa è la logica, infatti, Bersani la consultazioni dovrebbe farle all'Ucciardone. Sai quante persone capaci di incidere sulle cose si trovano lì… Certo che a essere potenti ultimamente c'è poco da stare allegri. Qualche giorno fa Lerner li invitava tutti a suicidarsi, come il povero capo della comunicazione di Monte dei Paschi. Adesso Roberto Saviano, che non ha ancora raggiunto il maestro Gad, li invita a seppellirsi vivi in qualche carcere. Comunque non è una bella alternativa. E i prossimi suggerimenti illuminati della sinistra radical chic per la classe dirigente quali saranno? Autolapidatevi sulla pubblica piazza? Garrotatevi in silenzio davanti al municipio della vostra città? Ma sì, già me lo immagino l'editoriale intelligente dell'Espresso:  perché il potente non si fa seviziare da una banda di torturatori albanesi? Perché non si fa impalare da una masnada di turchi? Ma soprattutto: perché non si fa arrestare dai giudici di Milano? Già: perché gente come Craxi e Berlusconi si ostina a difendere la propria libertà individuale, cosa che disturba assai gli scrittori di Gomorra, invece di andare a marcire beatamente in una cella con il rispetto e la simpatia di tutti, principalmente del medesimo Saviano? «Se Craxi non avesse avuto paura del carcere, il suo ruolo sarebbe stato diverso»,  sostiene lo scrittore.  «L'accettazione del carcere porta a una sorta di azzeramento delle colpe». Ed è per questo che – suggerisce ancora il fine politologo del Vesuvio – i politici più scaltri e più navigati usano il carcere come una strategia, la galera come una prospettiva politica. Capito? Una fine strategia, una prospettiva politica. Che si fa per uscire dall'impasse? Le larghe intese o 30 anni a Rebibbia? Un esecutivo di legislatura o 20 anni a Regina Coeli?  Tu che farai il prossimo anno, ti candidi alle primarie? No, guarda, pensavo di candidarmi per uno stage a San Vittore.  E tu ti presenterai al congresso? Macché: mi presenterò a Poggioreale. Hai commesso qualche reato? Ma no, è che sono scaltro: uso il carcere come strategia politica. Me l'ha suggerito Nicolò Saviano, il  Machiavelli al sapor di pummarola rancida.

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