Marco Travaglio lavorava per la Padania. Ma gratis
"Grazie è il titolo più giusto per una giornata come quella di oggi. Perché io su questo giornale ho cominciato a scrivere nel 1997. Grazie a questo giornale sono cresciuto, ho imparato una professione". È un grazie a caratteri cubitali, color verde Lega, quello che il segretario del Carroccio Matteo Salvini indirizza ai lettori sulla prima pagina de La Padania, ieri per l'ultima volta in edicola. Un numero speciale che regala ai lettori delle chicche davvero speciali. Come quella raccontata da Leo Siegel nel suo articolo d'addio nel quale racconta episodi, persone e firme illustri del giornale. E a sorpresa tra i nomi citati spunta quello di Marco Travaglio. "Presto si arruolò anche un certo Calandrino", racconta Siegel, "pseudonimo che nascondeva il nome di Marco Travaglio, successivamente colto da amnesia". Una rivelazione che ha fatto saltare sulla sedia il condirettore de Il Fatto Quotidiano. "Questi sono matti!", è stato il suo primo commento, salvo poi riprendersi dall'amnesia e spiegare che si trattò di "due-tre blob", ovvero delle raccolte di dichiarazioni di politici che mettevano in luce le loro contraddizioni. Tutta colpa, di Gianluca Marchi, il direttore. Fu lui, ha spiegato Travaglio a La Stampa, a chiamarlo. "Era un amico, gli ho fatto un favore, firmando Calandrino. Ma non ho mai messo piede alla Padania, non ho mai ricevuto soldi ed avrò scritto al massimo due-tre volte, su Massimo D' Alema e Silvio Berlusconi. Ecco tutto". Del resto, ci tiene a puntualizzare l'editorialista del Fatto, in quel periodo faceva lo stesso tipo di "regalo" anche ad altre testate, ad esempio il Manifesto e al Fatto di Enzo Biagi: "Siamo intorno al 1997-98- ricorda Travaglio - in quegli anni lavoravo alla Voce di Indro Montanelli. Avevo una rubrica sulle contraddizioni dei politici e mettevo in evidenza il contrasto tra quello che dichiaravano il giorno prima e quello che dichiaravano il giorno seguente. In molti volevano attingere al mio archivio".