Monti gioca sporco in televisioneLe sue uniche armi: gli insultie fare il terrorista sulla crisi
di Mario Giordano Dopo la conferenza stampa senza domande, Monti inaugura il dibattito tv senza dibattito. È una formula fortemente innovativa, molto tecnica, sicuramente bocconiana, andata in scena martedì sera a tarda ora a Ballarò su Raitre: nel periodo elettorale, infatti, Giovanni Floris prevede alla fine della trasmissione una mezz'ora di faccia a faccia con il candidato premier. Gli ospiti presenti in studio vengono sbrigativamente messi alla porta, e il leader della coalizione si accomoda sulla poltroncina per la passerella d'onore. Dove sta la geniale innovazione del Professore, rispetto al format e anche rispetto a chi l'ha preceduto? Che appena s'è seduto, anziché pensare a rispondere alle domande che il conduttore stava per rivolgergli, ci ha subito tenuto a precisare di aver assistito a tutto il resto della trasmissione dietro le quinte. Quindi è salito in cattedra e ha cominciato a distribuire voti sui partecipanti appena usciti di scena e dunque impossibilitati a replicare: Vendola ha detto cosa da rabbrividire, la Camusso pure, Alfano ha riscritto la verità e fa lo spiritoso perché non c'è il capo. Persino l'anziano Cesare Romiti s'è sentito bacchettato per aver osato esprimere la sua delusione. «Ma come si permette?», sembrava voler dire Monti. «La spedisco dal preside con il 4 in condotta. E la prossima volta si presenti accompagnato dai genitori». Lo spirito di partecipare a un dibattito politico dovrebbe essere diverso da quello di un docente agli scrutini d'esame? Sicuro, ma forse Monti non l'ha ancora capito. E allora qualcuno glielo deve spiegare: uno può scegliere se partecipare oppure no a un talk, ma non può stare lì per due ore ad origliare dal retrobottega, poi entrare in scena alla fine, mandare a casa tutti gli altri e cominciare a distribuire giudizi manco fosse l'angelo della morte dell'Apocalisse. Bersani, da politico avveduto e persona corretta, la settimana prima non l'aveva fatto. Era entrato, aveva lanciato i suoi messaggi, la sua propaganda, quel che si vuole, insomma. Ma non s'era messo a polemizzare con gli ospiti che erano stati in studio fino a 5 minuti prima e che poi erano stati messi alla porta. Non si fa, semplicemente. Ora può anche essere che Vendola, la Camusso, Alfano e Romiti avessero tutti e quattro torto marcio, e che l'unico che dicesse cose sensate fosse Mario Sechi (montiano presente al dibattito). Ma anche fosse così, vogliamo almeno garantire loro il diritto di difendersi? Se non in nome della par condicio, almeno nel nome del buon senso? E poi, insomma, caro professor Monti, se davvero vuole cambiare il Paese, come dice, non sarebbe il caso di cominciare a guardare i propri avversari in faccia? A non considerarli come matricole universitarie? A provare a sentire le loro ragioni? Così, tanto per vedere l'effetto che fa. Perché da quando è salito in politica, ci pare, lei è un po' sceso di livello: va spesso in Tv, ma anziché il confronto cerca l'esecuzione mediatica, l'agguato, la pugnalata alle spalle. Non sarà una forma di debolezza? Non sarà che si sente un po' insicuro? Viene da pensarlo perché nella parte in cui non attaccava gli avversari, Monti più che premier uscente è apparso un premier uscito. Di controllo. All'obiezione di Floris sull'Imu alla Chiesa, norma formalmente varata ma resa inapplicabile per un dettaglio tecnico, ha risposto balbettando per alcuni minuti e poi ha cercato di salvarsi con un umiliante «non so nulla, perché non sono più io il ministro dell'economia». Sull'asta delle frequenze, è parso in difficoltà come un bambino che se l'è fatta addosso e non sa come dirlo alla mamma. E sui costi della politica s'è messo a zoppicare che stringeva il cuore: «Rinuncerà al finanziamento al suo partito?», insisteva Floris. E lui divagava parlando di qualsiasi cosa gli passasse per la testa. A un certo punto ho temuto che cominciasse a citare la teoria macroeconomica di Dornbush-Fisher o la nuova lacca appena consigliatagli dal consulente all'immagine. Sarebbe stato più preciso, in ogni caso. Il massimo però l'ha raggiunto quando ha tirato fuori la solita tiritera del Paese all'orlo del collasso. Esaurite le battute su Alfano maggiordomo, Berlusconi che manipola la verità, Bersani succube ma un po' citrullo e le relazioni internazionali di Calderoli, Monti continuava a tornare lì, novembre 2011, come se non fosse mai riuscito a muoversi da quel giorno, cioè dalla nomina a premier che ha cambiato la sua vita (e purtroppo anche la nostra). Disastro finanziario di qui, disastro economico di lì, non perdeva occasione per citare la parola «disastro», si dev'essere sentita risuonare più nella sua mezz'ora di concione che in un intero anno di riunioni alla commissione rischi della Protezione civile. Eppure Monti, per illustrare tutto sto disastro, non ha tirato fuori nemmeno un numero. Anche perché altrimenti avrebbe dovuto ammettere che secondo tutti i parametri, escluso lo spread, il disastro italiano del novembre 2011 era assai inferiore a quello di oggi. E che quella degli stipendi che non si potevano pagare e delle pensioni che rischiavano di saltare è una bufala bella e buona a uso di chi crede ancora a Babbo Natale e alla Goldman Sachs. In compenso, però, invece dei numeri sull'Italia (assenti anche dalla sua agenda), nella sua infelice rappresentazione a Ballarò Monti s'è messo a sciorinare i numeri della Grecia: disoccupazione -27%, disoccupazione giovanile - 57%, salari pubblici - 32%... E poi ha cominciato una terrificante descrizione di Atene, come se fosse uno di quei film the day after, con la città distrutta, una nube nera incombente e la gente allo stato brado, sparsa nelle periferie a raccogliere legna per riscaldarsi. Un modo elegante e bocconiano per dire a tutti: consideratevi fortunati (e ringraziatemi) se non siete ancora ridotti così, costretti a tagliare i platani a Villa Borghese e gli ippocastani sotto la Madonnina per non morire di fame e di freddo. Ed è a quel punto, all'improvviso, che è apparso chiarissimo perché Monti ha inventato questa formula del dibattito Tv senza dibattito: lui, infatti, ama le sfide senza avversari, quelle in cui è da solo contro se stesso. E che riesce, incredibilmente, a perdere.