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Ingroia, l'accusa di Filippo Facci: "Si candida ma la legge glielo vieta"

Giulio Bucchi
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di Filippo Facci Rivoluzione Civile, aggiornamenti. Le novità sono tre: 1) Antonio Ingroia, secondo la legge e secondo noi,  non sarebbe eleggibile a Palermo e però si candida lo stesso; 2) la candidata Sandra Amurri, secondo le regole di Ingroia, non sarebbe candidabile e però Ingroia la candida lo stesso; 3) Ingroia non partecipa a dibattiti con particolari giornalisti, ma sopravviveremo lo stesso. Vediamo nel dettaglio.  1) Un'eventuale elezione di Antonio Ingroia nel collegio di Palermo, si diceva, sarebbe fuori legge. Continuiamo a sostenere, cioè, quanto già scritto su Libero di giovedì: l'articolo 8 della Legge 361/75 dice chiaramente che un magistrato non può candidarsi dove ha esercitato sino a sei mesi prima; è questa la ragione per cui Ingroia è andato in Guatemala anche solo per un pugno di giorni: voleva piazzare un intermezzo di almeno sei mesi che gli permettesse di essere capolista in entrambe le circoscrizioni siciliane. Il giochino è franato perché neanche lui  aveva previsto che si sarebbe votato così presto e che, soprattutto, l'inchiesta sulla «trattativa» avrebbe tardato tanto a concludersi. Così l'allora magistrato (ora in aspettativa) ha dovuto o voluto procedere all'audizione di Berlusconi, in settembre, e due mesi dopo ha firmato una memoria aggiuntiva sempre come procuratore generale. Meno di due mesi fa, cioè, era ancora nel pieno delle sue funzioni anche se la sua richiesta di collocamento «fuori ruolo» risale a luglio. Come risolverà la faccenda? Forse non lo sa neanche lui. Una prima possibile soluzione l'ha ventilata venerdì sera durante un'orribile trasmissione di Lucia Annunziata (su Raitre) e sarebbe la seguente: «La mia candidatura a Palermo non è incompatibile, anche se sono ineleggibile». Traduzione: io intanto mi candido e becco voti, poi posso sempre cederli al secondo più votato e ripiegare su un altro collegio in cui sono candidato. Questo almeno abbiamo inteso nel frastuono della trasmissione. La seconda possibile soluzione è apparsa sul suo sito web proprio in risposta al nostro articolo di giovedì: sotto una foto di maiali (grazie) si legge che «lo stesso Libero riconosce che Ingroia ha chiesto di essere messo fuori ruolo a luglio», come a dire che i sei mesi decorrano da quando si faccia richiesta di messa fuori ruolo (cioè dal luglio scorso, appunto) e non da quando si scelga di farla cominciare. Antonio Ingroia, come visto, negli ultimi sei mesi ha esercitato la professione e quindi non era fuori ruolo: è solo questo che conta.  2) Gran baccano nel suo movimento, poi, per non candidare chi figuri anche solo indagato come la tesoriera dipietresca Silvana Mura. In compenso, però, vediamo che risulta candidata  Sandra Amurri, giornalista del Fatto Quotidiano ed ex candidata con Di Pietro  - trombata  -  nonché personaggio che tempo fa si scaraventò nell'inchiesta sulla «trattativa» perché testimoniò di aver origliato una sconcertante conversazione di Calogero Mannino alla pasticceria Giolitti di Roma. Fatti suoi: in realtà non c'importa nulla di Sandra Amurri, o meglio, ci è pure simpatica; il problema sono le teoriche regole del movimento di Ingroia. Proprio ieri, sul suo sito web, il commentatore Marco Morisini la metteva così: «Continuo a ritenere che il reato di diffamazione a mezzo stampa debba essere seriamente sanzionato». E che dirà, dunque, della Amurri?  Il 4 aprile 2005, infatti, la prima sezione civile del Tribunale di Roma ha condannato lei e Furio Colombo al pagamento di 49mila euro per l'articolo del 14 maggio 2002 titolato «Quell'ispettore dai rapporti inopportuni». Il 16 maggio 2008, inoltre, lo stesso Tribunale di Roma ha condannato ancora Lei e Furio Colombo al risarcimento dei danni nei confronti del senatore Antonio D'Alì per l'articolo pubblicato il 27 ottobre 2007 titolato «Trapani: vento, appalti e manette all'ombra dell'America's Cup». Inoltre, se può interessare, la Amurri risulta sanzionata con una censura dall'Ordine dei Giornalisti delle Marche (lei è iscritta lì) per un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano del 5 dicembre 2010; vi compariva un'intercettazione con una frase del mafioso Giovanni Risalvato, uomo di fiducia di Matteo Messina Denaro: «So che lo fai con tutto il cuore, però mi può aiutare D'Alì». Cioè ancora il senatore D'Alì, spiegava la Amurri. Poi, però, è venuto fuori che la frase vera era questa: «So che lo fai con tutto il cuore, però mi puoi aiutare più da lì». Una manipolazione, o così ha stabilito l'Ordine dei Giornalisti il 13 giugno scorso: «Non sembra dubitabile che l'intercettazione delle affermazioni del Risalvato, trascritta dalla Procura di Palermo, abbia subito nella  sua trasposizione giornalistica una pesante e grossolana manipolazione laddove le parole “da lì” sono diventate “D'Alì”; manipolazione che non può essere attribuita a “un errore” (come sostiene la Amurri) visto che per far quadrare il periodo è reso necessario modificare il testo dalla seconda persona singolare (“mi puoi aiutare”) alla terza (“mi può aiutare”)».  3) Infine: durante la citata trasmissione teoricamente condotta da Lucia Annunziata, venerdì sera su Raitre, Antonio Ingroia si è rivolto al direttore del Giornale Alessandro Sallusti dicendogli «io con lei non parlo». La segreteria di Antonio Ingroia, poche ore prima, aveva declinato l'invito a un talkshow - su Tgcom24  - per la specifica ragione che tra gli ospiti c'era lo scrivente. Molto bello. Molto rivoluzionario. Molto civile.

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